Un illuminante servizio della agenzia Reuters ripreso e tradotto dalla Nena News.
Mitra e munizioni: su voli charter dalla Libia alla Siria
di Jessica Donati, Ghaith Shennib e Firas Bosalum – Reuters
Abdul Basit Haroun dice di essere dietro ad alcune delle più grandi partite di armi dalla Libia alla Siria, effettuate attraverso voli charter diretti ai paesi limitrofi e poi contrabbandate oltre il confine. La prima è entrata in Siria lo scorso anno a bordo di una nave libica che trasportava aiuti, ma ora i container vengono convogliati nei Paesi vicini per mezzo di voli charter. Dal momento in cui Haroun ha cominciato il proprio business, armare i ribelli è diventato sempre più redditizio nell’agenda internazionale, con l’Arabia Saudita che offre missili e Washington che pianifica di mandare anche lei armi agli uomini che combattono il presidente Bashar al-Assad.
Ha lasciato la Libia a vent’anni, affermandosi come agente immobiliare a Manchester. Dopo circa due decadi nella città britannica, è tornato in Libia nel 2011 per combattere nella rivoluzione, diventando un famoso comandante dei ribelli. E vuole mandare armi, dice, per aiutare i siriani a ottenere la libertà per la quale ha lottato durante la rivoluzione. Haroun parla alla Reuters a notte fonda, davanti a un caffè e una torta nella sua villa alla periferia di Bengasi, la città orientale da cui è partita l’insurrezione che ha deposto Muammar Gheddafi. Suo figlio, un giovane che parla inglese con un marcato accento di Manchester, si occupa dei prezzi delle armi e altri dettagli.
Haroun è scioccato dal fatto che l’Occidente non sia intervenuto in Siria come invece aveva fatto in Libia: un’opportunità mancata, secondo lui, di evitare una guerra più ampia. “Quando la guerra in Siria finirà – spiega – ce ne sarà un’altra nella regione: Sunniti contro Sciiti. All’inizio c’era solo Assad da far cadere.ma adesso sono coinvolti anche Hezbollah e l’Iran”. Un reporter della Reuters viene portato in un luogo segreto a Bengasi per vedere un container di armi venir preparato per la Siria. È pieno di casse di munizioni, lanciarazzi e vari tipi di armi leggere e medie. Haroun e il suo socio dicono che è stato tutto sistemato in quella base per tenere le armi al sicuro.
Haroun può raccogliere armi un po’ ovunque nel Paese e organizzarsi per farle spedire in Siria grazie ai suoi contatti in Libia e all’estero. “Loro sanno che stiamo inviando armi. Tutti sanno”. Ufficialmente lavora nella sicurezza statale, almeno a detta del portavoce del ministro dell’Interno, Majdi al-Ourfi. Ma i suoi traffici di armi sembrano molto conosciuti, perlomeno nell’Est del Paese. Mentre alcuni alti funzionari dell’esercito e del governo hanno solo confermato l’invio di armi ai ribelli siriani, un membro del congresso libico, Tawfiq al Shebabi, ha pubblicamente lodato Haroun per l’ottimo lavoro svolto nell’aiutare gli insorti.
Un altro funzionario, che ha preferito rimanere anonimo, ha invece rivelato di aver dato il permesso a un carico di lasciare il porto di Benghasi per la Siria. “Non li fermiamo – ha spiegato – perché sappiamo quello che il popolo siriano sta passando”. Un comandante dell’esercito libico, Hamed Belkhair, ha detto di essere a conoscenza di colleghi militari che hanno incontrato i ribelli siriani per rifornirli di armi, tenendo a precisare che “esse non vengono fornite agli estremisti, ma solo all’Esercito Libero Siriano”. Una prassi confermata anche dal panel delle Nazioni Unite lo scorso febbraio: “I trasferimenti – si legge nel rapporto – vengono organizzati sotto la supervisione, o perlomeno con il consenso, di un largo numero di personalità libiche e siriane. Le dimensioni significative di alcuni carichi e la logistica coinvolta suggeriscono che le autorità libiche siano state almeno a conoscenza dei traffici, se non direttamente coinvolte”.
Haroun conduce le operazioni con un socio, che lo aiuta a coordinare una dozzina di persone nelle città libiche che raccolgono le armi. Entrambi confermano che alcuni voli charter carichi di armamenti sono partiti alla volta della Giordania e della Turchia e poi essere trasferiti oltreconfine. “Circa 28 tonnellate di armi sono state trasferite per via aerea – conferma il socio – ma abbiamo appena organizzato una spedizione di 2.000 tonnellate”. Oltre al sostegno dato ai fratelli rivoluzionari, Haroun spiega l’altra grande cosa che stanno facendo: togliere le armi dalle strade. “La missione è così popolare – racconta – che otteniamo anche il 50 per cento di sconto sulle armi. Alcune ci vengono anche donate, in particolare quelle pesanti di cui le famiglie si sono servite poco dopo la guerra”. Suo figlio lo aiuta con i prezzi per le strade: per una mitragliatrice calibro 5, ad esempio, pagano intorno ai 25 dollari, mentre per un Rpg circa 120. “Se avessimo molti soldi, potremmo raccogliere tutte le armi dalle strade, ma attualmente ci vogliono circa 4-5 mesi per mettere insieme abbastanza per una spedizione”. I finanziamenti arrivano dal business locale e dai siriani all’estero. Consegnano all’Esercito Siriano Libero perché, spiega Haroun, “sono i meglio piazzati per sapere a quale gruppo ribelle servono gli equipaggiamenti”.
Loro preferiscono spedire armi invece che combattenti a causa del rischio di problemi una volta tornati sul suolo libico. Entrambi sono andati in Siria lo scorso agosto con il loro primo carico per assicurarsi che le armi arrivassero a destinazione. Lì, hanno visto l’orrore: “L’acqua è così inquinata che non ti azzarderesti nemmeno a sciacquarti le mani. Le persone non hanno vestiti. Ho visto tre donne partorire senza alcun dottore. E la gente muore senza cure. Chiunque abbia visto le scene che ho visto io – conclude – farebbe lo stesso”.
Traduzione di Giorgia Grifoni per Nena News
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