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Turchia: Erdogan azzoppa l’esercito

Dopo l’ondata di proteste contro il premier Recep Tayyip Erdogan, inTurchiaé in corso ora una ”vera e propria caccia alle streghe” contro gli oppositori. Lo denuncia la Federazione Internazionale dei Diritti Umani (Fidh) dopo che 30 persone sono state arrestate ieri durante una maxiretata a Istanbul e altre 15 sono state incriminate per gravi reati a Smirne poche ore prima. Gli arrestati sono stati tutti accusati di appartenenza a organizzazioni terroristiche, danneggiamento di beni pubblici, “provocazione contro la società”, incitamento alla violenza. La procura di Ankara ha indicato ieri sera che dall’inizio delle proteste, alla fine di maggio, solo nella capitale sono stati arrestati 1.078 manifestanti, 29 sono tuttora in carcere e 49 sono stati incriminati in base alle leggi contro il terrorismo. E i numeri di Istanbul sono assai più consistenti. La Federazione Internazionale dei Diritti Umani parla di una ”crescente e inquietante repressione dei manifestanti e della società civile” e denuncia la “impunità di fatto” garantita agli agenti responsabili di violenze e pestaggi e ai ‘civili’ – poliziotti in borghese o sostenitori del partito islamico Akp di Erdogan – che più volte hanno aggredito e picchiato i  dimostranti. Qualcuno degli aggressori è stato fermato ma subito rilasciato. L’ultimo è stato un autista di autobus accusato di aver partecipato al pestaggio il 2 giugno a Eskhisehir del giovane Ali Ismail Korkmaz, 19 anni, morto per una emorragia cerebrale dopo 38 giorni in coma, fermato ma subito rilasciato. Come é tuttora a piede libero l’agente accusato di aver sparato ad Ankara il 1 giugno contro la folla di manifestanti, colpendo mortalmente al cervello il giovane Ethem Sarisuluk, 26 anni. 

Ed intanto il ‘sultano’ Erdogan continua a rimodellare le istituzioni turche sulla base dei suoi interessi e di quelli della lobby politico-economica che lo sostiene. Non notato dalla stampa internazionale, un provvedimento adottato pochi giorni fa dal parlamento turco secondo analisti e media locali segna davvero la fine di un’epoca, quella che ha visto i militari nel ruolo di garante della Costituzione autoritaria imposta da Mustafa Kemal alla fondazione della Repubblica nel 1923. La Grande Assemblea di Ankara ha modificato l’articolo 35 del regolamento interno delle Forze Armate che ha fatto da “base legale” per i colpi di stato che hanno rovesciato quattro volte governi democraticamente eletti tra il 1960 e il 1997. “Passa alla storia il pretesto per i golpe” ha titolato in maniera eloquente il quotidiano Star. “L’articolo 35 creato nel 1935 cancellato in 35 minuti” rilancia il quotidiano Haber Turk, evidenziando il blitz parlamentare. Secondo il nuovo articolo approvato a tempo record nella notte tra il 12 e il 13 luglio, prima che il parlamento chiudesse per la pausa estiva, infatti, il compito delle forze armate non sarà più “proteggere e tutelare la madrepatria e la Repubblica Turca come sancito dalla Costituzione”, ma semplicemente difendere laTurchia”da minacce e pericoli che vengono dall’estero”. Una prerogativa che potrà comunque esercitare solo previa esplicita autorizzazione da parte del parlamento.

“L’obiettivo della nostra iniziativa è separare l’ambito di azione dell’esercito da quello della politica in maniera chiara” ha dichiarato il ministro della Cultura e del turismo Omer Celik. Da quanto i liberal-islamisti del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) hanno vinto per la prima volta le elezioni nel 2002 le Forze armate turche sono intervenute più volte contro provvedimenti che consideravano non in linea con i principi laici contenuti nella costituzione, come nel 2007 quando l’allora Capo di stato maggiore dell’esercito Yasar Buyukanit si oppose con forza all’elezione dell’islamista Abdullah Gul a Presidente della Repubblica costringendolo a ritirare la sua candidatura. Gul riuscì a spuntarla solo l’anno dopo, quando l’Akp vinse di larga misura le elezioni anticipate convocate da Erdogan proprio per superare la crisi istituzionale. Da quel momento l’Akp ha intrapreso numerose iniziative – legislative e giudiziarie – per mettere a tacere i generali. Nel 2009 gli islamisti hanno approvato una legge che consente ai tribunali civili di processare militari per crimini gravi e l’anno successivo il parlamento ha emendato la Costituzione eliminando la norma transitoria che garantiva l’immunità ai militari responsabili del colpo di stato del 1980, aprendo la strada al processo contro l’allora Capo di stato maggiore Kenan Evren e gli altri militari golpisti. Inoltre il premier ha sempre sostenuto i pubblici ministeri che dal 2008 hanno ordinato l’arresto di centinaia di militari accusati di aver ordito un golpe contro Erdogan nell’ambito dei maxi-processi “Balyoz” e “Ergenekon”.

Proprio l’altro ieri a Istan bul si è tenuta, tra le proteste dei familiari degli imputati, la prima udienza del processo d’appello contro 325 persone accusate di aver costituito l’organizzazione eversiva “Balyoz” (martello, in turco). Gli imputati, tra cui alti gradi dell’esercito come il comandate Cetin Dogan, l’ammiraglio Ozden Ornek e il generale Firtina sono stati condannati in primo grado a 20 anni di carcere. L’Unione europea che pure afferma di vedere con favore il ridimensionamento del ruolo dell’esercito, nell’ultimo rapporto sui progressi della Turchia nel processo di adesione all’Ue, Bruxelles si è detta “preoccupata” per “l’esercizio del diritto alla difesa, i lunghi tempi di detenzione preventiva e accuse troppo ampie e onnicomprensive” e ha chiesto ad Ankara ulteriori passi avanti per rendere “più democratico” il rapporto tra civili e militari.

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