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Turchia: “distruggete Gezi Park”. Purghe nei media e arresti

Un tribunale amministrativo dà ragione a Erdogan, le ruspe potrebbero tornare a distruggere il parco dove la polizia ha attaccato un migliaio di manifestanti che assistevano a… un matrimonio. Decine i giornalisti licenziati o costretti alle dimissioni per le loro critiche al governo.

Qualche settimana fa i media di tutto il mondo avevano dato grande risalto a una decisione di alcuni tribunali turchi che bocciava il piano del governo Erdogan e del sindaco di Istanbul diretti a trasformare il parco Gezi, nel centro della metropoli sul Bosforo, in una spianata di cemento. Ma la ‘festa’ è durata poco perché poche ore fa un tribunale amministrativo regionale ha annullato in appello la decisione adottata il 31 maggio dalla sesta Corte amministrativa della città che aveva accolto un ricorso di un’associazione decidendo la sospensione dei lavori di abbattimento degli alberi nel fazzoletto verde. Dopo la decisione presa alla fine di maggio le autorità dell’Akp avevano presentato ricorso ma a inizio luglio la Corte amministrativa di Istanbul l’aveva respinto, negando l’accoglimento della richiesta di revoca della sospensiva, mentre la sentenza di merito sul progetto è attesa entro due mesi. Il braccio di ferro continua ma è evidente che i liberal-islamisti hanno forti agganci all’interno della magistratura e che quindi il progetto speculativo nel centro di Istanbul – un centro commerciale, una casera ‘ottomana’ e una moschea al posto del boschetto – è ancora in ballo. Secondo il quotidiano Hurriyet, inoltre, l’ultima sentenza di fatto dà il via libera ai lavori perché é operativa immediatamente, senza dover aspettare il pronunciamento del Consiglio di Stato.

E, al di là dell’esito della disputa giudiziaria, a ricordare i metodi del governo Erdogan ci ha pensato durante il finesettimana la polizia che, in assetto antisommossa è intervenuta contro un migliaio di persone che si erano radunate proprio intorno al parco in occasione delle nozze tra due attivisti. I reparti antisommossa hanno attaccato i convenuti con manganelli, cannoni ad acqua e lacrimogeni. I due giovani sposi, conosciutisi durante le proteste di fine maggio, avevano deciso di sposarsi proprio al margine di Piazza Taksim, ma il divieto di manifestare evidentemente vale per tutti, ma proprio tutti. Mentre gli arresti di oppositori continuano, come è avvenuto ad Antakya (Antiochia), sulla costa turca a pochi chilometri dalla frontiera con la Siria, dove 28 attivisti sono stati arrestati all’alba di ieri durante una delle ennesime retate compiute dalla polizia contro chi ha partecipato alle manifestazioni antigovernative degli ultimi mesi. Così come continuano le purghe contro i giornalisti che si sono permessi di violare la ferrea censura – ed autocensura – che da sempre caratterizza il sistema mediatico turco.

Secondo i dati forniti dal Sindacato dei Giornalisti Turchi (Tgs) almeno 22 cronisti sono stati licenziati per la loro copertura delle proteste antigovernative ed altri 37 costretti alle dimissioni. ”Questi licenziamenti e queste dimissioni sono per lo più collegati con le politiche di censura seguite da diversi media sulla protesta di Gezi Park” ha affermato il presidente del Tgs di Istanbul Gokhan Dumus che ha aggiunto: ”I nostri colleghi hanno lavorato duramente per garantire il diritto all’informazione del pubblico, e lo hanno pagato con il loro posto di lavoro. Alcuni sono stati censurati, altri hanno visto i loro programmi tv chiusi”. ”Alcuni giornalisti sono stati licenziati per dei tweets che avevano mandato. Uno per avere inviato il messaggio ‘Ciao’ a un manifestante di Gezi”. Tra i reporter presi di mira i più noti sono Tugce Tatari, editorialista del quotidiano Aksam, e Hasan Comert, giornalista esperto di cultura. Da parte sua il Comitato internazionale per la protezione dei giornalisti (Cpj) denuncia che il governo di Tayyip Erdogan ”é impegnato in un’ampia offensiva per ridurre al silenzio i giornalisti critici attraverso detenzione, procedure legali e intimidazione ufficiale” in ”una delle più vaste campagne di repressione della libertà della stampa nella storia recente”.

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