“Un intervento militare britannico in Siria ora non è più in agenda”. E’ stato questo il commento del leader del partito laburista Ed Miliband dopo che il Parlamento di Londra ha bocciato ieri sera una mozione del premier David Cameron a favore di un’aggressione militare contro la Siria. Una sconfitta cocente per il primo ministro conservatore, che per la prima volta dal 1989 divide le sorti di Londra da quelle di Washington, che le forze armate britanniche hanno sempre affiancato in ogni operazione militare, bombardamento e occupazione a partire dall’invasione di Panama in poi.
Non è bastato a Cameron, cedendo alle richieste dell’opposizione di centrosinistra, attenuare i toni del testo della mozione pro-guerra. Dopo otto ore di aspro dibattito, la camera dei Comuni ha bocciato la mozione del governo britannico su un eventuale intervento militare contro la Siria, con 285 voti contrari e soli 272 favorevoli. Più volte gli interventi dei parlamentari laburisti e degli altri partiti dell’opposizione hanno citato il trucco delle armi di distruzione di massa attribuiti da Washington a Saddam Hussein e mai trovate, definendo inconsistenti le prove che il regime di Damasco abbia utilizzato armi chimiche contro i civili lo scorso 21 agosto come sostenuto dall’amministrazione Obama.
”Mi é chiaro che il parlamento britannico, rappresentando il volere del popolo, non vuole un’azione militare. Ne prendo atto, agirò di conseguenza” ha dovuto ammettere il premier messo in minoranza. Non è affatto automatico che il no del Parlamento escluda del tutto l’intervento militare ma certamente lo rende più difficile posizionando un serio ostacolo sulla rotta guerrafondaia di Barack Obama, che ora perde uno dei soli due alleati che aveva raccolto nella sua sgangherata e poco credibile ‘coalizione dei volenterosi’, tenendo anche conto che la maggior parte dell’opinione pubblica statunitense rimane contraria ad ogni ipotesi di aggressione alla Siria.
Il voto del parlamento di Londra non è stato preso bene dall’altra parte dell’oceano, ovviamente. Il segretario alla Difesa di Londra, Hammond, durante la notte si è detto consapevole della gravità dell’inatteso strappo con Obama sulla vicenda siriana. “Speravo di riuscire a convincere [i parlamentari] ma ho capito che c’è una profonda diffidenza verso un coinvolgimento in Medioriente”, ha detto il ministro.
Gli Stati Uniti hanno reagito immediatamente dicendosi di fatto pronti ad attaccare la Siria anche da soli se necessario, anche perché “si tratterebbe di un’operazione limitata per la quale non sarebbe necessaria una coalizione”. La dichiarazione stizzita è stata poi in parte ridimensionata dai portavoce della Casa Bianca: ”Continueremo a consultarci con il governo inglese, uno dei nostri alleati più vicini. Le decisioni del presidente Obama saranno guidate da quelli che sono i migliori interessi degli Stati Uniti. Il presidente ritiene che ci siano in gioco interessi per gli Usa e che i paesi che violano le norme sul divieto di armi chimiche devono essere ritenuti responsabili”. E mentre a centinaia scendevano in piazza a New York e a Washington per manifestare contro un’aggressione alla Siria ”costruita sulle bugie”, la Casa Bianca prometteva di diffondere entro oggi “informazioni inoppugnabili” sull’uso di armi chimiche da parte dell’esercito siriano. Che poi sarebbero alcune intercettazione telefoniche, fornite dal Mossad israeliano, che confermerebbero la volontà di alcuni comandanti militari del regime di Assad di utilizzare armi proibite contro i nemici. Non certo le “prove certe” più volte promesse e oltretutto fornite da Tel Aviv, che evidentemente ha tutto l’interesse a togliere di mezzo la Siria e ad indebolire gli Hezbollah in Libano e il governo iraniano.
Nelle ultime ore l’amministrazione Obama sembra essere in stato confusionale: da una parte dichiarazioni su una possibile azione unilaterale, dall’altra la conferma da parte del segretario alla difesa USA Chuck Hagel della volontà di dar vita ad una coalizione internazionale. Persa Londra, Washington avrebbe dalla sua la Danimarca (!) e la Turchia, i cui governi nei giorni scorsi di erano detti pronti ad affiancare gli Usa anche senza il consenso dell’Onu. Un po’ poco per rendere la cosa credibile agli occhi di una opinione pubblica internazionale sempre più ostile o quantomeno sospettosa nei confronti della politica estera statunitense che per sua stessa ammissione dice di agire per la difesa “degli interessi degli USA”.
La debolezza di Washington non sfugge a Mosca. Il governo russo intende utilizzare il suo potere di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per fermare qualsiasi intervento militare contro la Siria. Lo ha confermato il vice ministro degli Esteri Gennady Gatilov all’agenzia di stampa Itar-Tass.
Durante la notte si è tenuta anche una breve riunione del consiglio di sicurezza dell’Onu risoltasi con un nulla di fatto. Al termine dell’incontro, richiesto dalla Russia, i diplomatici non hanno rilasciato dichiarazioni, ma una fonte diplomatica ha detto che non è stata messa in calendario una nuova riunione anche se il Consiglio di sicurezza può essere convocato d’urgenza.
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