Svariati decenni fa, i manuali americani di giornalismo, precedendo di molto la crozziana “psicobanalisi”, insegnavano che il lettore medio è più colpito dalla notizia di un lieve incidente d’auto nel proprio paese, che non dalla morte di dieci persone nel paese vicino o di qualche centinaio di poveri cristi assassinati nel Vicino oriente o in Africa.
Oggi, la stragrande maggioranza dei media batte il tamburo sulle migliaia di profughi, spinti o respinti ai “confini UE”, cioè alle frontiere del “paese Europa”; gli stessi media che da decenni relegano a fondo-pagina le centinaia di migliaia di persone massacrate dalle “guerre umanitarie” condotte dai “propri paesi” nel Vicino oriente o in Africa.
Però, la crisi umanitaria di quelle migliaia di disperati, torna oggi più che utile per mettere alla gogna “l’ultimo dittatore d’Europa”, mentre feisbuc manda al macero qualsiasi accostamento tra la Polonia sanfedista e razzista di oggi, che sfrutta la crisi migratoria per coinvolgere NATO e UE nelle proprie mire, e la Polonia fascista del dittatore Józef Piłsudski, che per tutti gli anni ’30 flirtò col Terzo Reich per spingere i nazisti a fare la guerra a est.
Ma, tra gli stessi media, quanti si sbilanciano a parlare della crisi politico-militare che sta montando in contemporanea e dietro la crisi dei profughi da Iraq, Siria, Afghanistan, cui da Baltico e oltreManica si risponde con mobilitazioni di truppe?
Il Primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, insieme ai colleghi lettone e lituano, tenta di far ricorso all’art.4 dello statuto della NATO, perché l’Alleanza intervenga nella «contrapposizione con la Bielorussia».
Londra, pur riconoscendo la volontà di Mosca di non arrivare a un conflitto, manda truppe in Polonia e Ucraina. Washington, in maniera dimostrativa, spedisce a Kiev ulteriori decine di tonnellate di armamenti.
La Lettonia avvia manovre militari, che andranno avanti fino al 12 dicembre, in una delle quattro principali regioni del paese, la Latgale, direttamente ai confini con Bielorussia e Russia.
Nel mar Nero, in prossimità del perimetro della Crimea, vanno avanti da due settimane “esercitazioni” navali con naviglio USA e di paesi rivieraschi: membri della NATO o ansiosi di diventarlo.
E, da copione, mentre si fa apparire tutto questo come normale routine “d’addestramento”, sta montando in ognuno dei “propri paesi” la retorica da “difesa della patria” contro “aggressioni ibride” da oriente e estremo oriente, unita a strette sul dissenso (ancora pochi passi e, Polonia docet, indossare una maglietta rossa costerà multe o galera) e incensamenti delle scelte europeiste su politiche interne e estere.
Dunque, prudono le mani a Mateusz Morawiecki, che apertamente dichiara che «le sole parole non bastano per fermare Minsk, colpevole della crisi alla frontiera», così che Varsavia, d’accordo con Riga e Vilnius, pensa di far pressione per la convocazione del Consiglio dell’Alleanza atlantica, perché «è tempo che gli alleati NATO si intromettano».
Secondo Morawiecki, si può ricorrere all’art. 4, che «prevede che le parti si consultino allorché, a parere di una qualsiasi di esse, siano minacciate integrità territoriale, indipendenza politica o sicurezza di un qualsiasi Stato alleato».
Appena un po’ più di senno pare mostrarlo il Capo di stato maggiore britannico Nicholas Carter, il quale ammette che, “per disattenzione”, Londra e alleati, oggi molto più che in qualsiasi momento della guerra fredda, stanno correndo il serio rischio di finire in guerra con la Russia, perché, ha detto, «non agiscono più i tradizionali meccanismi diplomatici».
Probabilmente in riferimento al contingente inviato da Londra in Polonia, Carter ha anche messo in guardia i politici che la «natura bellicosa» di alcune loro strategie potrebbe portare a una situazione in cui «l’escalation può provocare errori di calcolo».
Il generale si è comunque ripreso, accusando Mosca di voler minare in qualsiasi modo l’influenza occidentale e statunitense: «Credo che la Russia guardi al contesto strategico globale come a una lotta costante in cui è disposta a utilizzare tutti gli strumenti della propria potenza per raggiungere i propri obiettivi. Ma al tempo stesso, non vuole scatenare una vera guerra».
A differenza di altri, si potrebbe dire, per i quali sembra valere il motto della scrittrice britannica Barbara Tuchman che, in “Cannoni d’agosto”, scriveva «Nessuno voleva la guerra; la guerra era inevitabile».
In ogni caso, scrive The Mirror, Londra è pronta a inviare 400 o 600 uomini delle proprie forze speciali, nel caso Mosca si appresti ad attaccare l’Ucraina: il contingente sarebbe «pronto a partire nel giro di 36 ore».
Invece, Washington non solo “si appresta”, ma ha già spedito a Kiev il quarto carico di 80 tonnellate di armi da quando Joe Biden lo aveva garantito lo scorso agosto: con ciò ribadendo «la devozione USA al raggiungimento di un’Ucraina stabile, democratica e libera».
E, per candida ammissione di un Congressista yankee al canale Fox News, «in Ucraina ci sono già nostri soldati». D’altronde, dal golpe nazista del 2014, Washington ha fornito alle forze armate di Kiev 25 miliardi di dollari per «assicurare l’integrità territoriale» ucraina.
Inoltre, il Segretario generale NATO, Jens Stoltenberg, pur ammettendo l’assenza di unanimità sull’ammissione dell’Ucraina nell’Alleanza, afferma che «innanzitutto rafforziamo la partnership», in questo rispondendo direttamente alle sollecitazioni del Ministro della difesa golpista, Dmitrij Kuleba, a che «i membri dell’Alleanza cooperino più strettamente con Georgia, Ucraina, Moldavia per le questioni della regione del mar Nero».
Tutto questo sembra davvero troppo, se addirittura una pubblicazione tutt’altro che pacifista come The National Interest azzarda che USA, Turchia e altri sostenitori di Kiev debbano cambiare rotta, prima che trasformino il «bruciacchiante conflitto ucraino in un incendio vero e proprio», provocando Mosca a intervenire in Donbass.
Con le forniture di armi e altri mezzi che arrivano da USA e NATO, scrive Aleksandr Belov su IARegnum, Kiev potrebbe essere indotta a ritenere sicuro l’appoggio occidentale e portare alle estreme conseguenze l’intensificazione delle azioni di sabotaggio e dei bombardamenti in Donbass cui si assiste da diverse settimane.
Intanto, proseguono nel mar Nero le manovre “Passex”, con tre vascelli della VI Flotta americana, insieme a naviglio degli alleati regionali USA, cui non si applicano le limitazioni previste dalla Convenzione di Montreux. Alleati che, tuttavia, Aleksandr Kots, su RIA Novosti, considera abbastanza incerti, oltre che deboli dal punto di vista militare.
La Georgia, ad esempio, non può contare che su un paio di corvette e alcuni battelli armati con artiglierie e razzi. Poco diversa la situazione ucraina: dispone di una fregata e sette motovedette corazzate, oltre ad alcune vecchie motovedette yankee classe “Island”, in attesa di altre forniture americane e turche.
Anche la Bulgaria conta solo su tre fregate armate con missili anti-nave, due corvette, tre motovedette, alcuni cacciamine e navi ausiliarie. Tre fregate mette in mare anche la Romania, insieme a tre motovedette lanciamissili e cinque cacciamine.
Di tutt’altro potenziale dispone invece la Turchia: tra mar Nero e Mediterraneo conta su 13 sommergibili, 16 fregate lanciamissili, 10 corvette, oltre a aviazione e fanteria di marina. Alle attuali manovre nel mar Nero, tuttavia, Ankara ha schierato appena una fregata, indice dei contrasti non risolti con Washington a proposito di S-400 e F-35 e delle dispute sulla presenza nella regione.
Gli Stati Uniti, scriveva ieri Thomas Röper sul suo anti-spiegel.ru, stanno alimentando il pericolo di guerra tra Ucraina e Russia; aizzano l’Ucraina alla guerra nel sudest; inviano armi e pretendono che i paesi NATO revochino le restrizioni sulle forniture di armi letali a Kiev; «volano nel cielo nei pressi della Crimea e incrociano nel mar Nero. In più, i loro discorsi risuonano abbastanza provocatori».
Dopo “l’attacco polacco” alla stazione tedesca di Gleiwitz, ricorda Röper, Hitler scatenò la guerra; dopo il finto attacco nel golfo del Tonchino, gli USA attaccarono il Vietnam; gli americani hanno attaccato l’Iraq, accusando Saddam Hussein di possedere armi chimiche e di legami con al-Qaeda: «secondo questo modello, gli USA parlano ora dell’aggressione russa contro l’Ucraina».
Ma, se la Carta di partenariato strategico recita che «Gli USA intendono sostenere gli sforzi ucraini per contrastare gli attacchi armati» russi, di fatto gli americani non promettono di essere coinvolti direttamente, ma «intendono sostenere» e incoraggiare.
Washington ha affermato tre volte che la Russia stava concentrando truppe al confine ucraino: tre volte Kiev ha risposto che non poteva confermarlo. Solo la quarta volta Vladimir Zelenskij si è detto d’accordo: anche lui aveva visto truppe russe vicino ai confini.
Il Segretario di stato Antony Blinken ripete che «tutte le provocazioni provengono dalla Russia» e Washington avverte ufficialmente gli alleati in Europa sul «pericolo di un’invasione russa dell’Ucraina». Sembra un camuffamento, dice Röper, per una loro stessa azione.
Ma gli “alleati” europei sono davvero disposti a entrare in guerra per la l’Ucraina o la Polonia?
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