Il candidato dell’attuale premier, il miliardario Bidzina Ivanishvili, ha stravinto le elezioni presidenziali di ieri in Georgia mandando a casa, dopo dieci al potere, l’uomo della Nato Mikheil Saakashvili. Giorgi Margvelashvili, un accademico senza alcuna esperienza politica precedente e candidato dalla coalizione ‘Sogno Georgiano’ di Ivanishvili, oggi esulta dopo aver conquistato il 62% dei voti a seguito dello spoglio del 70% circa delle schede. Un risultato che lo mette al riparo da possibili sorprese. Il principale sfidante, l’ex presidente del Parlamento David Bakradze del partito Movimento nazionale unito di Saakashvili, è a quota 22%, secondo i dati ufficiali diffusi stamattina dalla Commissione elettorale centrale. La ex presidente del parlamento Nino Burjanadze è al terzo posto con circa il 10% dei voti.
Ieri sera Margvelashvili aveva già dichiarato vittoria in piazza, davanti ai suoi sostenitori, nella capitale Tbilisi, dopo gli exit poll che lo davano in netto vantaggio. “Vi ringrazio tutti moltissimo, è la nostra vittoria condivisa” ha detto Margvelashvili alla folla. Il premier Ivanishvili, l’uomo più ricco di Georgia, ha detto durante la manifestazione che la sua coalizione è pronta a lavorare insieme all’opposizione mentre i fuochi dì’artificio illuminavano il cielo di Tbilisi.
Il voto di ieri cala il sipario sul decennio al potere dell’alleato degli Usa Saakashvili e sul suo ultimo amaro anno di coabitazione con il rivale Ivanishvili, che ha promesso di lasciare la scena politica nelle prossime settimane. Saakashvili alla tv ha chiesto ai suoi sostenitori di rispettare l’esito delle elezioni.
Moltissimi georgiani non hanno mai perdonato a Saakashvili, pedina di Washington alle porte di Mosca, le provocazioni contro la Russia che nel 2008 portarono a una breve e sanguinosa guerra tra i due paesi. Un conflitto che si risolse con la disfatta dei piani della Nato nella regione, con la perdita dell’Ossezia del Sud (annessa da Mosca) e infine con un colpo durissimo alla credibilità di un personaggio che dovrebbe ora andare in pensione. La cosiddetta ‘Rivoluzione delle Rose’ che lo portò al potere nel 2003, sull’onda delle ‘rivoluzioni colorate’ made in USA, è finita da un pezzo.
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