Durato da ben tredici settimane il conflitto tra le università elleniche e il governo telecomandato dalla troika. Dopo dodici settimane di sciopero i lavoratori dell’Università di Atene e del Politecnico della capitale greca hanno alla fine costretto il governo Samaras a compiere una parziale marcia indietro: dei 1300 impiegati che dovevano essere licenziare ora Samaras si è impegnato a trasferirne “solo” 100 ad altri compiti, comunque ad un salario minore. Una vittoria parziale ma importante in un paese che da anni viene bastonato duramente, e dove decine di duri scioperi generali non sono riusciti a costringere un governo a sovranità zero a fare marcia indietro quasi su nessuno dei vari piani ‘lacrime e sangue’ scritti da Bruxelles e Francoforte.
Ma la lotta degli atenei continua e la parola d’ordine rimane: nessuna chiusura, nessun licenziamento, nessuna svendita dell’istruzione pubblica per avvantaggiare quella privata.
Quella ottenuta è una vittoria a metà, perché nonostante la tenuta della mobilitazione – che ha visto protagonisti tanto gli studenti quanto la maggior parte dei docenti, dei lavoratori dell’amministrazione e addirittura dei rettori – il governo composto da socialisti e destra ha messo in ginocchio le università elleniche, ritardando l’iscrizione delle matricole e annullando in pratica gli esami per tentare di orientare la rabbia sociale contro gli scioperanti.
Il problema è che il ministro della Pubblica Istruzione, Arbanitopoulos, dovrà rendere conto ai commissari di Fmi, Commissione Europea e Banca Centrale se non riesce a portare a termine la cosiddetta riforma dell’istruzione superiore, e quindi probabilmente dopo il cedimento di queste ore di fronte alla determinazione e alla compattezza delle università potrebbe ritornare alla carica nei prossimi giorni con alcuni escamotage. Il quotidiano Kathimerini, di proprietà dell’armatore Alafouzos, ha chiesto la testa del ministro dell’Istruzione accusato di aver ceduto al ‘ricatto degli scioperanti’ e varie tv commerciali di proprietà dell’oligarchia sparano a zero contro il movimento di protesta.
I lavoratori da parte loro non si fidano dei vertici dei loro sindacati, troppo propensi al compromesso col governo, e nelle assemblee che si sono tenute nei giorni scorsi ne hanno chiesto l’azzeramento. Racconta Argiris Panagopoulos su Il Manifesto: “«Abbiamo resistito con un’enorme battaglia contro il massacro dell’Università. L’unica soluzione è tornare tutti nei nostri posti di lavoro per far funzionare le facoltà insieme con i professori e il personale docente. Lo sciopero continua e il ministero mente dicendo che il 50% del personale è tornato al lavoro», insistevano ieri pomeriggio gli impiegati in assemblea, mentre Arbanitopoulos telefonava disperato al rettore dell’Università di Atene Pelegrinis per costringere gli impiegati ad aprire l’ateneo”.
Nonostante l’impegno assunto dal ministro Arvanitopoulos che nessuno dei dipendenti avrebbe perso il posto di lavoro e mentre tutto lasciava presagire che i due atenei della capitale avrebbero ripreso a funzionare regolarmente da lunedì scorso, nel corso di assemblee tenutesi in un’atmosfera molto tesa i dipendenti hanno deciso di continuare la protesta, entrando così nella tredicesima settimana consecutiva di sciopero. Inoltre hanno concordato di schierarsi a fianco dei lavoratori del settore sanitario partecipando alla loro manifestazione.
Il governo accusa le forze di sinistra – in particolare Syriza e Antarsya – di tenere in ostaggio le università e gli studenti che vogliono tornare a far lezione. Ma nelle otto università del paese il movimento di protesta è stato assai compatto, assai più che in passato. Gli studenti hanno occupato quasi ovunque, organizzando iniziative di denuncia delle politiche del governo e della troika e solidarizzando con la protesta guidata dai sindacati ma che ha coinvolto anche i Senati accademici, che hanno messo in campo anche iniziative di disobbedienza attiva per evitare di compilare le liste di dipendenti da licenziare.
Il governo, e in particolare Arvanitopoulos, hanno cercato di spezzare la protesta in vari modi. Ad esempio deferendo al consiglio disciplinare per cattiva amministrazione il rettore dell’Università di Atene, Pelegrìnis. “Il rettore dell’Università Nazionale e Capodistriana di Atene, Pelegrinis, al contrario degli altri 7 rettori delle università affette dalla misura della disponibilità, tiene l’istituto chiuso con la sua inerzia e la sua incapacità di applicare le decisioni del Senato” viene sottolineato nell’annuncio del ministro della pubblica istruzione. Una minaccia nei confronti di tutta la protesta che, almeno per ora, è stata rimandata al mittente.
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