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Monti, l’Andreotti “tecnico”

Fatta la tara alla retorica d’obbligo («poter dare il mio contributo per il migliore interesse dell’Italia europea»), Mario Monti, assiso sulla comoda poltrona di Fabio Fazio, ha dato la più andreottiana delle risposte alle (non tante) domande sul suo futuro prossimo. Così facendo pensava forse di nascondere – non le sue ambizioni personali – il potente intreccio di poteri che si sta adoperando per riproporlo in un ruolo centrale nella prossima legislatura. Che si tratti di Palazzo Chigi o del Quirinale, da dove sarebbe possibile dare un colpo definitivo al quadro costituzionale della Repubblica nata dalla resistenza, è questione ancora da dirimere. Ma lo scalino più alto del podio, nei poteri istituzionali, gli è già stato assegnato.
Da chi? Da molti partiti, che non si sentono in grado di reggere la prova delle “ricette della Troika” in relazione al proprio blocco sociale di riferimento; da due dei tre sindacati confederali (la Cgil non può accettare ancora a lungo d’essere sciolta nell’acido di “riforme” che eliminano il ruolo e la necessità di un sindacato; dagli imprenditori, che non potevano sperar di meglio; dalla Chiesa, naturalmente, unita in pratica soltanto su questo grazie al pasticcio sull’Imu. Ma soprattutto dalle “Cancellerie” straniere e dai “mercati”, che hanno un loro uomo, per decenni abile procacciatore d’affari per le mutlinazionali (questo e non altro significa international advisor) nel ruolo di playmaker.
Questo passo da un “retroscena” di Repubblica, qualche giorno fa, dà la misura esatta di quanto importante sia, per l’establishment multinazionale, “continuare” sulla strada intrapresa:

“Basti pensare che l’ ambasciatore Usa a Roma, Thorne, negli ultimi giorni sta praticamente facendo il giro di tutti i partiti italiani per spiegare quanto sia elevato l’apprezzamento della Casa Bianca per il presidente del consiglio. Per non parlare del giudizio chei cosiddetti “mercati” assegnano all’ attuale governo italiano e delle paure che vengono manifestate per un eventuale “dopo senza Monti”.

Nella società politica italiana il blocco di poteri che supporta Monti non ha avversari veri, solo complici. Equamente divisi tra entusiati e riluttanti. Questa differenziazione solleva problemi, ma nessuno irrisolvibile.
A destra non c’è quasi più nulla da distruggere. Il Berlusconi che medita “il grande ritorno” è un sequel senza speranze. Il Pdl corre a perdifiato verso l’esplosione interna, dopo aver già assaggiato quella dei consensi, diviso tra chi ha capito la lezione internazionale subita – e si mette a disposizione dei vincitori – e la rumorosa coorte di chi agita senza nemmeno crederci spettri nazionalistici per mantenersi a galla.
Il centro è già montiano da sempre, per assenza di idee, supporto sociale, personalità degne di nota.
Nel centrosinistra, infine, la partita tra entusiasti e riluttanti è ancora in piedi fino al ballottaggio di domenica prossima. Ma alla fin fine è questione che riguarda più le dinamiche interne di un partito che non quelle complessive del paese nel prossimo futuro. Le piccole varianti cresciute sull’onda della “pulizia politica” (Di Pietro, De Magistris, ecc) sono già ora rientrate nei ranghi dei “riluttanti con diritto di mugugno”. Cercheranno di farsi notare, ma non romperanno le scatole.
Fuori del Parlamento si gioca la partita vera. La frattura tra società politica e ceti popolari si va estendendo a velocità crescente. L’irrisolvibilità della crisi economica promette di allargarla oltre ogni ipotesi si ricomposizione a breve termine. Detta in termini semplici, se – come dice anche Confindustria – non ci sarà nessuna “ripresa” entro i prossimi tre anni, e quindi bisognerà fare i conti con un disagio sociale senza neppure più gli strumenti del “welfare povero” oggi in funzione, può accadere praticamente di tutto.
Il “grillismo” è una risposta furba ma poverissima a questa sfida. Gioca su residui di “pulizia politica”, sulle suggestioni della “democrazia in rete”, sponsorizza senza crearlo o costruirlo il rifiuto sociale su alcuni temi emergenti (ambiente, No Tav, ecc). Nessuna idea di società diversa da questa. Non sarà il M5S a preoccupare il trenino di poteri che ha Monti come maschera politica.
Resta dunque solo l’antagonismo sociale e politico. In parte già in movimento, in grandissima parte tutto da costruire. Non sembra un caso che ai primi e ancora incerti vagiti d’opposizione questo governo “tecnico” abbia immediatamente reagito col via libera ai manganellatori e alla denunce a raffica, ipotizzando “daspo”, arresti differiti, robocop, intelligence (vuol dire spie) contro i movimenti nascenti.

Il “programma di governo” è chiaro. Chi si presenta alle elezioni con “ambizioni di governo” deve però sostenere di volerne una versione diversa; poco o tanto, dipenderà dalle formule retoriche più adatte alla campagna elettorale. Chiunque “vinca” le elezioni del 10 marzo conosce quel programma ed è disposto a realizzarlo. Non deve far altro che seguire le indicazioni di Monti, dovunque si sarà seduto.

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