Niente da fare. Più il governo del Partito delle Regioni tenta di venire incontro alle richieste delle opposizioni e più le formazioni di destra ed estrema destra radicalizzano le proprie rivendicazioni togliendo ogni spazio alla trattativa e spingendo il paese verso la guerra civile.
Ieri migliaia di dimostranti hanno di nuovo assaltato numerosi edifici governativi nella capitale e in altre città del paese, nelle regioni occidentali ma non solo. A Kiev ieri notte dopo una giornata di scaramucce in diversi punti gli aderenti alle organizzazioni filo-Ue hanno attaccato la Casa Ucraina, un edificio pubblico nel centro della capitale con sassi, molotov e fuochi artificiali, appiccando numerosi incendi. Circa 200 Berkut – i membri dei reparti antisommossa della Polizia – che si erano rifugiati qualche tempo prima nell’edificio hanno cercato di soffocare le fiamme e di respingere i dimostranti con granate stordenti e gas lacrimogeni. Ma i gruppi di giovani dimostranti delle formazioni più radicali hanno continuato a lungo l’assalto al centro culturale e artistico sede fino a qualche decennio fa del Museo Lenin finché i poliziotti non sono riusciti ad uscire dal palazzo e ad allontanarsi.
Nel cuore della notte gruppi di dimostranti hanno lanciato bottiglie incendiarie contro la sede del Parlamento e la polizia ha risposto con i lacrimogeni.
Le opposizioni hanno deciso di rompere definitivamente la fragilissima tregua raggiunta giovedì col governo, intensificando l’occupazione di edifici governativi in tutto il paese e scontrandosi con le forze dell’ordine in più località.
In particolare durante la mattinata i militanti del gruppo “Spilna Sprava” (Causa comune) hanno tentato di occupare la sede del ministero dell’Energia, scontrandosi con la polizia che lo difendeva e poi prendendone possesso per qualche ora, fino a decidere di togliere l’occupazione durante la giornata ma solo dopo aver eretto alcune barricate davanti al suo ingresso.
I leader dei tre partiti maggiori del campo filoccidentale hanno soprattutto risposto picche all’offerta del presidente Viktor Yanukovich che ieri pomeriggio aveva offerto alle opposizioni – di assumere la carica di primo ministro in cambio della cessazione delle proteste violente. Era stata la ministra della Giustizia Yelena Lúkash a comunicare la disponibilità del governo a nominare rispettivamente Yatseniuk (leader del partito Patria) e Klitschkó (capo della coalizione nazionalista Udar) primo ministro e viceprimoministro, durante una riunione alla quale non ha partecipato il capo del partito Nazional Socialista, Oleg Tiagnibok. Yanukóvich si era mostrato anche disponibile a concordare con le opposizioni più moderate una riforma della Costituzione, ma non c’è stato nulla da fare. Le opposizioni parlamentari sanno di non controllare completamente la piazza, guidata sempre più da gruppi organizzati – a volte in maniera paramilitare – appartenenti all’estrema destra ultranazionalista e xenofoba. E i leader dei partiti filo-Ue hanno evidentemente pensato che accettare le proposte del presidente li avrebbe indeboliti rispetto alle formazioni apertamente fasciste che ora parlano apertamente di ‘Rivoluzione’.
“Vogliamo la celebrazione di elezioni presidenziali anticipate entro quest’anno. Non faremo nessun passo indietro. Manterremo le nostre posizioni a Maidan e nelle varie regioni” ha tuonato l’ex campione di pugilato Vitali Klitschkó. Una dichiarazione accolta con entusiasmo da alcune decine di migliaia di manifestanti che nonostante le temperature rigidissime continuano ad occupare Piazza dell’Indipendenza e varie altre zone del centro di Kiev.
Qualche ora prima l’ex ministro degli Interni del governo filoccidentale imposto a partire dal 2004 dalla cosiddetta ‘Rivoluzione Arancione’ aveva invitato i manifestanti a dotarsi di armi per “potersi difendere dagli attacchi della polizia”. Anatoli Gritsenko ha chiesto ai manifestanti che hanno armi “regolarmente registrate” di portarle con sé per difendere piazza Maidan. «Io sarò il primo – ha aggiunto -. Ho una pistola con me adesso».
Gli ha fatto eco il ministro dell’Interno attuale, Vitali Zakharcenko, che ha definito «vani» gli sforzi per risolvere la crisi in modo pacifico dichiarando che i dimostranti dovranno essere considerati dalla polizia come esponenti di «gruppi estremisti» e quindi sgomberati con la forza.
Ieri un manifestante ferito lo scorso 22 gennaio sarebbe morto in ospedale, mentre due poliziotti sarebbero stati a lungo sequestrati dai dimostranti all’interno del palazzo dei sindacati, a pochi passi da Piazza dell’Indipendenza, e poi liberati solo dopo l’intervento di alcuni ambasciatori stranieri e leader politici locali. Un loro collega è ricoverato in gravi condizioni dopo esser stato accoltellato mentre un esponente 27enne dei Berkut è stato ucciso durante la notte a colpi di arma da fuoco.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa