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Turchia: nuove purghe nella polizia, Gulen denuncia Erdogan

Per evitare che le inchieste per corruzione che hanno pesantemente colpito il suo entourage possano determinarne la fine politica, il premier turco Erdogan continua anche in questi giorni la sua opera di ‘pulizia’ all’interno della magistratura e delle forze di sicurezza. Degli ultimi giorni la notizia che quasi un migliaio di agenti di polizia sono stati destituiti o destinati ad altro incarico, la più grande purga da quando la magistratura, a metà dicembre, ha ordinato l’arresto di funzionari del partito di governo, banchieri ed esponenti politici dell’Akp (Partito Giustizia e Sviluppo).

Secondo i media turchi a fine gennaio sono stati rimossi solo ad Ankara sono stati rimossi 500 agenti, altri 35 ad Istanbul e 274 ad Izmir, per un totale di 800 poliziotti, tra i quali anche alcuni alti ufficiali. Nelle ultime ore il premier e i suoi uomini hanno ordinato la rimozione di altri 23 agenti, tra cui la maggior parte delle guardie del corpo del primo ministro, evidentemente sospettate di spiare Erdogan per conto dei suoi nemici interni. Trasferimenti e nuove nomine riguardano anche diversi ministeri come quello della Giustizia, delle Politiche sociali e dell’Economia, secondo quanto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale turca.
Ormai la cifra di agenti destituiti, licenziati o spostati in un mese e mezzo arriva a 6mila, senza contare i magistrati e i prefetti di varie città che hanno fatto la stessa fine, compresi alcuni di quelli che guidavano le inchieste anticorruzione che hanno coinvolto il governo e i massimi dirigenti del partito liberal-islamista.
Le migliaia di epurazioni, insieme alla mano pesante usata dalla polizia contro i manifestanti antigovernativi da giugno, alle misure per mettere la magistratura sotto il controllo diretto dell’esecutivo e per introdurre una censura ancora più stretta su internet stanno suscitando un’ondata di protesta nel paese così come all’estero.
Da parte sua la cupola dell’Akp ha individuato nell’imam Fethullah Gulen il proprio nemico e il ‘mandante’ di quella che viene definita una trappola fatta scattare nei confronti degli esponenti del governo. Il premier nei giorni scorsi, dopo aver parlato genericamente di un complotto internazionale ed interno all’opera per destabilizzare l’esecutivo e indebolire la Turchia, è passato ad accusare direttamente l’imam a capo della potente confraternita Hizmet – “Servizio” – di aver costituito uno ‘stato parallelo’ che starebbe tentando di operare un golpe giudiziario contro di lui. Erdogan ha accusato Fethullah Gulen e i suoi uomini sparsi nella polizia, nella stampa e nella magistratura di aver letteralmente fabbricato prove false per metterlo in cattiva luce.
Ed oggi si è appreso che l’imam/imprenditore, ex mentore ed alleato del premier, ha deciso di denunciare Erdogan per diffamazione. Il quotidiano Zaman, di proprietà del movimento di Gulen, scrive che il leader spirituale, che vive in autoesilio negli Usa dalla fine degli anni ‘90, chiede un risarcimento di 100mila lire turche, (circa 32.700 euro), al primo ministro per le “dichiarazioni insultanti e denigratorie” pronunciate nei suoi confronti. In una rara intervista alcuni giorni fa l’imam aveva dichiarato che il governo sembra “avvelenato dal potere”.
Oggi la Fondazione dei giornalisti e degli scrittori, vicina alla confraternita Hizmet di Gulen, ha denunciato una serie di recenti “sviluppi profondamente preoccupanti” che “rischiano di far perdere alla Turchia la sua condizione di paese governato dallo stato di diritto”:  le barriere alla libertà di espressione, le intercettazioni illegali, le “purghe” di funzionari pubblici, le pressioni sui media, l’uso di un “linguaggio centrato sull’odio”, le accuse di “tradimento” e i tentativi di portare la magistratura sotto il controllo dell’esecutivo. Misure certamente inasprite dal governo negli ultimi mesi ma che sembrano la naturale evoluzione di un sistema autoritario e oppressivo che evidentemente andava bene a Gulen fino a che i suoi interessi politici ed economici non hanno cominciato a cozzare con le aspirazioni personali, oltre che politiche, di Erdogan.

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