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Fotoreportage: la Turchia dice addio ad Internet

Foto di Martina Asia Coduri de Cartosio – Testo di Giulia Leila Travaglini

Caro Internet,

Noi, come popolo turco, abbiamo passato dei bei momenti con te. Ci hai insegnato tante cose che non potevamo imparare da nessun’altra parte. Abbiamo molti bei ricordi di te. Tu ci sei sempre stato quando avevamo bisogno di te. 
Il parlamento turco ha approvato una legge che ti ucciderà. Forse non ti ucciderà direttamente ma ti paralizzerà e non potremo fare assieme tutto ciò che vorremo. Ti rimane un’ultima possibilità – il veto del presidente – ma ripeto, è un’ultima possibilità. 
Io so che non sei pronto per questo ma devo parlarti di ciò che accadrà dopo questa notte. So che ti farà male sentirlo ma devi prepararti a tutto ciò. Poiché ciò sembra inevitabile. 
Noi non saremo in grado di parlare di tutto. Il TİB (Turkish Telecommunications Directorate, il direttorato delle telecomunicazioni turco) avrà il potere di censurare tutto ciò che non gli piacerà, ciò significa che il governo potrà censurare tutto. Senza il bisogno del giudizio di una corte.
Parlare di contenuti “nocivi” con te sarà ritenuto un crimine. Se noi parleremo di qualcosa di “nocivo” o ospiteremo questi contenuti nocivi, io sarò un criminale.
ISP registrerà tutto ciò che faremo assieme. Terrà tracce per anni e lo stato potrà controllare queste tracce quando vorrà.
Useranno una censura basata su URL su di te. Ciò significa che, se il mio artico sul Medium è considerato “nocivo” le altre persone possono vedere il Medium ma non saranno mai in grado di leggere il mio articolo sui Media e buona parte delle persone non lo noteranno.
Useranno la DPI (deep packet inspection). Significa che vedranno cosa faremo, quando vorranno. Noi non potremo fare niente in segreto. […]

Ahmet A. Sabancı, Saying goodbye to Internet in Turkey

Si tratta di una lettera di addio alla libertà di parola, alla privacy e ad Internet di Ahmet Sabancı, membro di Alternative Information Association, pubblicata sul suo blog e da me tradotta da un articolo online di Al Jazeera.

Fa parte di una protesta scaturita recentemente contro una legge approvata dal parlamento turco con i voti dell’AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo) riguardante Internet.

Il 17 dicembre 2013 è avvenuto l’arresto per riciclaggio e corruzione di 52 persone tra cui tre figli di ministri del governo di Erdogan, politici e potenti uomini di affari. I media turchi intimoriti non sono stati in grado di trattare adeguatamente la questione che è esplosa su Internet con fuga di registrazioni audio, documenti e video.

Il governo ha quindi deciso di bloccare i contenuti sgradevoli. Questo porta la libertà della rete in Turchia ai livelli di Cina ed Iran. Basti pensare che la legge 5651 permette di bloccare siti in a base a sufficiente sospetto di certi crimini. In Turchia già 30.000 siti sono stati chiusi in seguito a censura.

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Un’agenzia governativa per le telecomunicazioni (TİB) è autorizzata a bloccare l’accesso ai siti qualora vi compaiano commenti contenenti “insulti” o contenuti ritenuti tali da violare “la vita privata” delle persone, e informazioni giudicate “discriminatorie o calunniose” anche senza il previo avallo della magistratura. Può inoltre tenere traccia dei dati di navigazione degli utenti e consegnali alle autorità senza avvisare gli interessati.

La legge butta fuoco su un clima già caldo di polarizzazione dello stato e di apolitica.

L’8 febbraio il premier turco è intervenuto a difesa della legge approvata che non è, sostiene, una censura: “Le norme renderanno Internet più sicuro e più libero”.

Una manifestazione di un centinaio di persone è scesa in piazza Taksim il pomeriggio stesso e ha sfilato per viale Istiklal. La protesta è sfociata in violenza quando i poliziotti hanno bloccato la strada ai manifestanti di ritorno verso piazza Taksim con gas lacrimogeni, pompe d’acqua e proiettili di gomma. I manifestanti hanno risposto al grido di “Basta con la censura!” tirando pietre, bottiglie e facendo scoppiare fuochi d’artificio.

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Mi trovavo con un’amica in un negozio in viale Istiklal, quando improvvisamente la gente ha iniziato a salire al secondo piano coprendosi il volto. Senza sapere cosa stesse succedendo siamo scese, ma l’aria era rarefatta, irrespirabile. Abbiamo capito cosa stava accadendo: dai finestroni del negozio potevamo vedere poliziotti e gente che si allontanavano da piazza Taksim.

Dopo essere rimaste bloccate nel negozio per una mezz’ora i commessi ci hanno guidate verso un’uscita di emergenza, che dà su una strada secondaria affacciata su viale Istiklal. In quel momento la polizia ha lanciato nuovo gas lacrimogeno e ci siamo rifugiate in un bar seguendo una fiumana di gente spaventata. Siamo salite per 3 piani alla ricerca di aria, ma l’edificio chiuso e la massa di gente rendevano il tutto ancora più malsano e claustrofobico. Gente accasciata sulle scale in ansia e qualche ragazzo con la testa appoggiata ad un tavolo, assistito da un amico. Abbiamo aspettato di riprenderci e siamo riscese in strada. L’azione si era sposata e rimanevano macerie di pietre, acqua e fango, scritte sui negozi e camion della polizia che disperdevano la gente rimasta in strada.

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Abbiamo risalito viale Istiklal dove i poliziotti erano intenti a guadagnar terreno sui manifestanti spingendoli in strade secondarie e disperdendoli. Un gruppo di protestati si è messo a sparare fuochi d’artificio che esplodevano in alto in cielo mentre i poliziotti attendevano per rispondere.

Un incredibile immagine rotta da una nube di gas lacrimogeno che abbiamo notato appena in tempo per allontanarci.

Abbiamo raggiunto i manifestanti attraversando delle strade secondarie ma non appena siamo arrivate i poliziotti hanno iniziato a corrererci in contro sparando pallottole di gomma per allontanare l’ultimo gruppo di protestanti.

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La gente che aveva già iniziato a farsi più rada poco dopo si è dispersa e sono arrivati camion per ripulire e sistemare le strade. In pochissimo tempo tutto è tornato alla normalità. I venditori di calde arroste non hanno mai lasciato il loro carretto, le saracinesche dei negozi sono state sollevate per fare uscire i clienti e la folla è tornata per la via a passeggiare e fare acquisti. Entro la mattina seguente nessuno avrebbe mai potuto immaginare quello che era successo, come un brutto sogno lontano e assurdo.

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Una situazione che si ripete in tutto il mondo. La crisi economica mondiale morde anche la Turchia e i segni di rivolta si moltiplicano ovunque, indipendentemente dalle motivazioni specifiche che spingono frazioni del proletariato e delle classi medie in via di proletarizzazione nelle piazze. La Bosnia, l’Ucraina, il Brasile, qualche mese fa Bulgaria e Romania, per non parlare dei paesi arabi, della Tailandia, della Cambogia e via via elencando… Le monete stanno crollando, la lira turca ha raggiunto un tasso di cambio con l’euro che tocca il 3% e lo stesso succede in tutti gli altri paesi. È evidente che non si tratta di ultimi segni di rivolte che si trascinano nel tempo e che a poco servirà la violenta repressione delle autorità per calmare gli animi della gente, che continuerà a scendere nelle strade e a mostrare il proprio mal contento. È un inizio e ne vedremo delle belle.

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