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Primavere arabe? Le mani di sauditi e Qatar sul Medio Oriente

Ogni volta che qualcuno, dati alla mano, denuncia il ruolo delle potenze straniere nella destabilizzazione del Medio Oriente e in particolare nello scatenamento della guerra civile in corso in Siria, viene tacciato di difendere il regime di Assad e di nasconderne i crimini. Che quello siriano sia un regime non ci piove. Come del resto tutti – ma proprio tutti – i regimi al governo in Medio Oriente e nel mondo arabo e islamico. Secondo alcuni dovremmo scriverlo e ribadirlo ogni volta che proviamo a mettere in fila gli interessi e i progetti difesi in Siria dalle diverse forze in campo nella guerra civile in corso. Ma ciò che è in ballo a Damasco non è lo scontro tra una popolazione insorta e un regime dittatoriale. La rivolta di un settore importante del popolo siriano contro gli Assad e la loro corrotta e violenta burocrazia è uno degli elementi alla base delle guerra civile siriana. Uno degli elementi, ma non l’unico. Basta leggere il chiarissimo intervento di un giornalista senza peli sulla lingua come Ugo Tramballi per capire quali sono le forze in campo oggi in Siria. Ciò che è in ballo è una ‘rifondazione del Medio Oriente’ sulla base dei mutevoli equilibri geopolitici determinati dall’ascesa di nuove potenze regionali – Qatar e Arabia Saudita da una parte, Turchia dall’altra – in competizione e a volte in associazione con le vecchie potenze coloniali – Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti – senza dimenticare l’attivismo guerrafondaio di Israele e il tentativo da parte di Russia e Cina di evitare di perdere posizioni e di permettere alla Nato di arrivare con missili e basi fin sotto i loro confini. Altro che primavere arabe. In questo quadro pensare che i popoli dell’aria possano difendere i propri legittimi interessi accettando la tutela – o la manipolazione – di uno degli attori in campo vuol dire essere ingenui o, più probabilmente, in malafede. Senza un rifiuto delle ingerenze esterne non ci può essere in Medio Oriente nessuna difesa degli interessi popolari e tantomeno una prospettiva di democratizzazione sociale e politica. Le petromonarchie del Golfo o il regime turco, è evidente, non hanno alcun interesse a democratizzare l’area, ma semmai a imporre nuovi regimi che invece di intavolare alleanze con la Russia o l’Iran siano strumento degli interessi di Ryadh o Ankara.

Come hanno dimostrato i casi di Tunisia, Egitto e Libia – pur diversissimi tra loro –  dalle rivolte di questi anni è scaturito un Medio Oriente rinormalizzato, all’interno del quale la voglia di libertà di di cambiamento di settori spesso minoritari ma attivi di quei paesi sono stati incanalati se non strumentalizzati a favore di un semplice ridisegno dei rapporti di forza tra le grandi correnti politiche dell’area e le varie potenze in competizione. Alle rivolte e alle guerre è seguita, sempre e comunque, una normalizzazione reazionaria, una restaurazione che non lascia spazi né alla libertà né alla democrazia. E in un quadro del genere che quello di Assad sia un regime autoritario e violento diventa davvero un elemento che non si può e non si deve negare ma che non può neanche essere elevato a giustificazione suprema di ogni intervento guerrafondaio in Medio Oriente.

Che un popolo si sollevi armi alla mano per rovesciare un regime dittatoriale è legittimo e sacrosanto. Che alcuni settori della popolazione di una paese – che ne siano coscienti o meno poco importa – si facciano strumento degli interessi e delle mire di potenze straniere al fine di sostituire un regime con un altro è invece tutta un’altra storia. La differenza non è da poco.

Non esiste nessun Hitler contro il quale valga la pena di unire in una santa alleanza gli interessi delle masse sfruttate e quelli delle potenze imperialiste. E tantomeno di scatenare una guerra mondiale. Assad non è Hitler, così come non lo erano Saddam Hussein, o Gheddafi, o Milosevic.

 

 

Il peso di Qatar e sauditi nel nuovo Medio Oriente

Ugo Tramballi – Il Sole 24 Ore

Ramadan mubarak. È piuttosto fuori luogo augurare un buon Ramadan con le cose che accadono. Il mese del digiuno e della preghiera che incomincia oggi, non sospenderà i combattimenti in Siria né eventuali altri attentati terroristici. Non è mai accaduto che un Ramadan fermasse la guerra. E non accadrà ora, che il Medio Oriente è di fronte al suo più grande sconvolgimento degli ultimi 100 anni.
Allora furono la fine dell’impero ottomano e gli anglo-francesi che sulle sue macerie disegnarono le nuove frontiere della regione. Potenze straniere padroni del destino. Questa volta no: americani, russi, ancor più gli europei, hanno solo un ruolo di supporto. I turchi credono di essere più importanti di quanto non siano. I protagonisti sono gli arabi. Soprattutto due Paesi, Arabia Saudita e Qatar: per dinamismo sarebbe giusto mettere in testa il Qatar; per dimensioni e dati statistici, cioè per massa critica, contano i sauditi.
Nel 2011 la crescita qatarina è stata del 18%, spinta soprattutto dalle esportazioni di gas naturale liquido. Per prevenire eventuali primavere in casa, l’anno scorso il Governo saudita ha pescato 130 miliardi di dollari dal suo surplus petrolifero per finanziare sussidi: case, aumenti di stipendio, posti di lavoro. Sono questi gli arsenali che definiscono le potenze arabe oggi. Una volta c’era l’Egitto popolatissimo, poverissimo, iperarmato. Ora solo la difesa strategica dei regni ed emirati sunniti del Golfo è garantita dagli Stati Uniti. Al resto pensano loro. Fare shopping nell’Europa indebitata per diversificare le mono-economie energetiche, è solo una delle attività. L’altra è investire le ricchezze nella rifondazione del Medio Oriente. Finanziano i Fratelli musulmani in Tunisia ed Egitto; distribuiscono armi agli insorti siriani che senza i mezzi venuti dal Golfo non sarebbero arrivati nel cuore di Damasco; hanno pagato la guerra e poi la ricostruzione in Libia; ritengono di non aver fatto ancora abbastanza in altri Paesi, per esempio il Libano controllato dagli hezbollah sciiti. Abbiamo parlato di regni sunniti perché nel disegno modernista di cambiare il Medio Oriente con il potere economico si nasconde la fede. Uno scisma medievale fra sciiti e sunniti, irrisolto da quando esplose nella battaglia di Karbala del 680. Forse in Siria un giorno ci sarà anche la democrazia: non prima che i sunniti tolgano di mezzo dal potere gli alawiti di origine sciita della famiglia Assad. Il Qatar è più attratto dalle idee democratiche rispetto ai sauditi che invece le temono: l’emiro al-Thani percepisce la forza della democrazia. Ma quando si è trattato di togliere di mezzo i manifestanti sciiti, anche il Qatar ha partecipato alla spedizione militare in Bahrain. In Tunisia ed Egitto dove non ci sono sciiti, sauditi e qatarini non hanno mosso un dito fino a che le piazze di Tunisi e del Cairo sono state piene di giovani blogger. Ma hanno incominciato a dare soldi quando è venuto il momento delle fratellanze islamiche.
Le agende di Arabia Saudita e Qatar non sono del tutto identiche. Le due famiglie regnanti sono imparentate, entrambe sono sunnite wahabite ma i due Paesi non si sono sempre amati, un paio di volte si sono presi a fucilate lungo il confine. I sauditi non sopportano al-Jazeera né gli atteggiamenti liberali di al-Thani. Ma questo era parte del vecchio Medio Oriente. Ora ce n’è uno nuovo e l’obiettivo comune è più importante delle differenze.
Per pura scelta strategica gli americani sono con loro. Anche gli europei. E pure Israele: fra Iran, Siria e Hezbollah (gli sciiti) e i sunniti alcuni dei quali in pace con lo Stato ebraico, la scelta è obbligata. 

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