Quindici anni possono sembrare molti, ma non abbastanza per dimenticare quanto il popolo dell’allora Repubblica Federale di Jugoslavia subì in seguito ai bombardamenti NATO del 1999. Ricordi ancora vividi e dolorosi che hanno lasciato un segno indelebile, unito ad un profondo risentimento nei confronti degli artefici di questo massacro, i partner della NATO.
Sentimenti che ogni anno, in questi giorni, portano alcune organizzazioni non governative serbe ad organizzare eventi per commemorare quello che fu un atto di aggressione, ingiustificato e criminale, contro uno Stato sovrano, e per proporre soluzioni condivise volte a fare in modo che tali avvenimenti non si verifichino più.
Quest’anno il Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali, insieme all’Unione dei Veterani di Serbia e al Club dei Generali e Ammiragli di Serbia, ha organizzato “Not to Forget”, quattro giorni di conferenze, mostre e presidi per ricordare quanto avvenne, e per cercare di costruire dal basso una comunità internazionale pacifica e anti-imperialista.
Il 21 marzo al Centro Conferenze Sava di Belgrado è stata presentata una mostra fotografica relativa alle conseguenze del bombardamento che la Repubblica Federale subì per ben 78 giorni di fila. Un atto contrario alle norme basilari del diritto internazionale e alla Carta delle Nazioni Unite, che portò alla morte di 4.000 persone, 88 dei quali bambini, e al ferimento di altre 10.000. Ma anche alla distruzione di ponti, ospedali, scuole, fabbriche, allevamenti di animali, coltivazioni agricole, linee elettriche, impianti di comunicazione, edifici religiosi, siti archeologici e musei. Senza poi dimenticare gli effetti a lungo termine sull’ambiente e sulla salute che hanno causato, e stanno tuttora causando, i materiali tossici fuoriusciti dalle fabbriche chimiche colpite e i residui cancerogeni delle bombe all’uranio impoverito (25.000 i missili lanciati su tutto il territorio della Repubblica).
Il 22 e il 23 marzo ha invece avuto luogo la Conferenza Internazionale “Global Peace vs. Global Interventionism and Imperialism”. La Conferenza, moderata da Zivadin Jovanovic, ex Ministro degli Esteri jugoslavo e Presidente del Forum di Belgrado, ha visto succedersi sul palco un centinaio di relatori provenienti da oltre 50 Paesi diversi.
Tutti gli interventi hanno ricordato il carattere imperialista, criminale e colonialista dell’aggressione lanciata dalla NATO contro la Jugoslavia, ultimo atto di una serie di politiche volte alla demonizzazione mediatica, alla distruzione economica, e all’isolamento internazionale subite dalla Repubblica Federale. Analogo risalto è stato dato alle catastrofiche conseguenze dell’intervento militare.
Particolarmente apprezzato è stato l’intervento dei delegati italiani del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ), che ha tenuto a sottolineare come l’aggressione lanciata dalla NATO contro la Jugoslavia nel 1999 sia un paradigma quanto mai valido per analizzare le guerre che i diversi poli imperialisti hanno lanciato negli ultimi 15 anni ai danni di tutta una serie di Paesi intenti a cercare una via autonoma di sviluppo culturale, civile, economico, e che per tale motivo hanno visto, al pari della stessa Jugoslavia, distrutto ogni aspetto vitale del proprio Paese, ambientale, industriale o sanitario che sia.
Non sono mancate, da parte del Coordinamento, critiche a buona parte delle organizzazioni della sinistra e dei lavoratori italiani, rei di aver ceduto alla propaganda, e di non essersi pertanto resi conto in quel frangente di trovarsi di fronte ad un’aggressione finalizzata al controllo dei mercati, delle risorse, della forza-lavoro e dei corridoi tramite i quali le risorse energetiche, le materie prime e le merci fluiscono verso i paesi imperialisti.
Altrettanto condiviso è stato l’intervento della delegata venezuelana, che ha ricordato la resistenza del proprio Paese alla perdurante guerra economica e politica portata avanti dall’imperialismo statunitense. La frase conclusiva dell’intervento, “Hasta la victoria siempre, Chavez vive, la lucha sigue!” è stata accolta con un lunghissimo applauso da parte di tutta la platea.
In tale contesto, è stata ravvisata da David Stockinger, giornalista austriaco, la necessità di un socialismo nel 21° secolo, proponendo la Conferenza come inizio di un percorso comune.
Il 24 marzo, anniversario dell’inizio dei bombardamenti, si sono svolti presidi in diversi punti della città.
Di fronte alla sede della RTS (Radio-televizija srbije/Radio-tv serba), devastata da un attacco NATO la notte del 23 aprile, si sono ritrovati i parenti delle 16 vittime – giornalisti e tecnici – uccise all’interno dell’edificio mentre preparavano il palinsesto per il giorno successivo, per deporre corone di fiori ed accendere ceri di fronte alla lapide commemorativa di quella strage.
“Mio cognato lavorava qui – ci racconta una donna presente alla commemorazione – quella sera avrebbe dovuto essere in quel palazzo, ma un collega gli propose di scambiarsi i turni perché il giorno dopo avrebbe dovuto portare la figlia dal medico. Che cosa avevano fatti quei ragazzi per meritare una fine così orribile? Chi pagherà per tutto questo?”
A poche decine di metri di distanza, nel parco Tasmajdan, un folto gruppo, composto dai partecipanti alla conferenza e da comuni cittadini, si è riunito per deporre fiori al monumento eretto in ricordo degli 89 bambini uccisi dai bombardamenti.
“Durante i bombardamenti abitavo con i miei due figli vicino Strazevica (la zona maggiormente colpita dai bombardamenti NATO). Ogni giorno vedevamo i missili cadere, uno dopo l’altro, a circa 100 metri da casa nostra. Le prime notti le passammo in un rifugio sotterraneo con i nostri vicini. Pensavamo sarebbe durato poco, forse qualche giorno, col tempo ci rendemmo conto che non era così, fu orribile. Dormivamo circa 3 ore al giorno, mai la notte perché dovevamo prenderci cura dei nostri figli. Molte madri non reggevano lo stress ed erano costrette a prendere sedativi, che comunque non riuscivano ad evitare le continue crisi isteriche. Cercammo in tutti i modi di condurre una vita normale, almeno per tranquillizzare i nostri figli, ma era impossibile”.
La pioggia, incessante fin dalle prime ore del mattino, non ha impedito lo svolgimento dell’ultima iniziativa nel parco Usce di Novi Beograd, dove sono stati deposti fiori al monumento della fiamma eterna, eretto nel 2000 per ricordare le vittime dei bombardamenti NATO.
Tutte le iniziative organizzate a Belgrado hanno avuto come filo conduttore un’unica domanda, che le collega agli analoghi eventi degli anni passati: Zashto? Perché? Quale motivazione spinse la NATO a fare tutto questo?
“Ci bombardarono principalmente per due motivi – ci dice un anziano signore a cui l’età non ha impedito di essere presente quest’oggi. Prima di tutto perché non intendevamo regalare la nostra terra, le nostre risorse, la nostra economia all’imperialismo occidentale. La NATO, e gli USA in primis, non potevano tollerare un tale affronto. E poi perché non volevamo lasciare il Kosovo. Ma perché avremmo dovuto? I serbi sono in Kosovo da sempre; le radici del nostro popolo, della nostra cultura, sono lì. Ma agli Stati Uniti questo non piaceva, perché gli impediva di sfruttare quella terra come corridoio per il mercato nero di armi e droga. Così hanno deciso di appoggiare il piano di pulizia etnica portato avanti dai terroristi dell’UCK. Non stano cacciando solo i serbi, ma anche gli altri slavi, i rom, chiunque non sia albanese. Ma anche gli stessi albanesi che vi si oppongono fanno una triste fine”.
Viene mostrato anche un forte risentimento verso la possibile entrata della Serbia nell’UE e nella NATO.
“La grande maggioranza di questo Paese non vuole entrare nell’Unione Europea. Il governo cerca di convincerci che staremo meglio, ma sappiamo bene che non è così. Basta vedere l’impoverimento dei Paesi vicini, come Croazia, Romania e Bulgaria, che hanno fatto questa scelta, e ne stanno pagando il duro prezzo. Siamo molto preoccupati, per noi e soprattutto per i nostri figli”.
Maggiore avversità è manifestata nei confronti dell’ipotesi che vede la Serbia all’interno della NATO. “Sarebbe assurdo, un controsenso per tutto quello che ci hanno fatto. Perderemmo la nostra indipendenza. Quale popolo vorrebbe far parte della più grande organizzazione terroristica internazionale?”
Già, mai domanda fu tanto inerente al nostro presente e al nostro futuro. Il Forum di Belgrado ha tracciato le vie disponibili: quella della pace o quella dell’imperialismo. La scelta è semplice, almeno apparentemente.
* Da Belgrado
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