Timori fondati o allarmismi pretestuosi? Il dibattito scoppiato intorno alla supposta mobilitazione di forze russe ai confini con l’Ucraina ben rappresenta il livello di tensione raggiunto nei rapporti tra Nato e Russia, mai così alto dopo il 1989. Il governo di Kiev sembra essere ovviamente il più preoccupato dalla presenza di «100mila soldati russi pronti a colpire» alle frontiere ucraine. Un numero reso noto dal presidente del Consiglio di sicurezza nazionale ucraino, Andriy Parubiy, che è stato però dimezzato da fonti dell’amministrazione statunitense citate dal Wall Street Journal che riportano di quasi 50mila militari russi ammassati lungo la frontiera con l’Ucraina. Queste forze, che includono le truppe di Mosca schierate in Crimea, stanno cercando di nascondere le loro posizioni e stanno definendo le linee di rifornimento, una strategia che potrebbe preludere a un prolungato impegno militare se non a «un’offensiva su vasta scala» secondo la fonte del giornale di New York.
La decisione di inviare truppe al confine «potrebbe essere solo un tentativo di intimidire l’Ucraina oppure potrebbe significare che hanno un altro piano», ha detto Barack Obama in un’ intervista alla Cbs News chiedendone il ritiro. La vicenda non è priva di aspetti curiosi. Lungo i confini ucraini le forze armate russe effettuano da oltre un mese esercitazioni che sono state prolungate in seguito alla crisi in Ucraina e Crimea e motivate anche dalla mobilitazione di forze aeree statunitensi e britanniche (ma sono in arrivo anche jet francesi) schierate nelle Repubbliche baltiche, in Polonia, Romania, Bulgaria e presto anche in Repubblica Ceca e Slovacchia con compiti di deterrenza, per “tranquillizzare” gli alleati orientali della Nato preoccupati dalle iniziative militari russe in Crimea.
Del resto è improbabile pretendere che i russi “si ritirino” dai loro confini occidentali che, giova ricordarlo per comprendere la dimensione strategica di questa crisi, sono a meno di 400 chilometri da Mosca. Inoltre il numero di 50mila militari russi risulta molto meno impressionante se “spalmato” su 1.600 chilometri di confine e considerando che, secondo il governo ucraino, nella sola Crimea vi sono 22mila soldati russi.
Se Kiev punta a ingigantire la minaccia russa per ottenere maggiori aiuti dall’Occidente, la NATO e Washington sembrano volerla gonfiare per indurre gli europei a fermare o rallentare il processo di disarmo e di progressiva riduzione degli stanziamenti militari. Non a caso Obama in Europa ha ribadito come gli Stati Uniti non possano sostenere da soli gran parte dei costi della difesa collettiva, con un occhio ai mega contratti per armi “made in USA” (come il cacciabombardiere F-35) a rischio di “spending review” in un’Europa che rischia di pagare il conto delle pressioni militari su Mosca.
È evidente infatti che le sanzioni contro le esportazioni di mezzi e tecnologie militari in Russia, che Washington sta mettendo a punto, non penalizzeranno certo l’export militare americano, del tutto inesistente verso la Russia, ma manderanno in fumo molti accordi siglati dagli europei e soprattutto da francesi e italiani che hanno contratti per la fornitura ai russi di navi da assalto anfibio e mezzi blindati che avevano ampi margini di allargamento.
Mosca ha finora smentito ogni notizia di preparativi bellici e il portavoce del ministero degli Esteri, non ha esitato in una nota a parlare «di cattive informazioni o di malafede» ricordando le quattro ispezioni internazionali, compresa una ucraina, nella parte europea della Russia effettuate nel mese di marzo dagli ispettori dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.
Vladimir Putin ha assicurato più volte che non è nei piani del Cremlino invadere l’Ucraina ma ha anche ribadito che la difesa dei diritti dei russi resta una priorità. Il presidente russo non ha poi rinunciato all’esibizione muscolare. «I recenti eventi in Crimea sono stati un test serio: hanno dimostrato le nuove capacità delle nostre forze armate in termini di qualità e l’alto spirito morale del nostro personale», ha detto Putin ammettendo implicitamente per la prima volta il coinvolgimento diretto delle truppe russe nell’annessione della penisola.
Sul piano strettamente militare un’invasione dell’Ucraina richiederebbe forze militari almeno dieci volte più consistenti dei 50mila militari indicati dal WSJ e, oltre alle conseguenze politico-strategiche, avrebbe costi finanziari insostenibili. L’unica iniziativa militare russa credibile e sostenibile potrebbe riguardare un intervento limitato nelle regioni orientali dell’Ucraina abitate in prevalenza da russi e russofoni (molti con passaporto russo) che non condividono il nuovo corso di Kiev e in parte si sentono minacciati dal nuovo governo ucraino. Violenze diffuse o il degenerare delle tensioni in guerra civile potrebbero indurre Mosca a interventi militari per proteggere la popolazione russa, soprattutto nelle aree di Donetsk e Kharkiv, che difficilmente le forze ucraine sarebbero in grado di contrastare. Scenari esplosivi che non possono venire esclusi specie se si concretizzasse l’invito dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich (riconosciuto ancora come tale a Mosca) a indire referendum simili a quello tenutosi in Crimea in tutte le regioni ucraine.
«Come presidente, faccio appello a ogni cittadino ucraino ragionevole. Non lasciate che gli impostori vi usino! Esigete l’organizzazione di un referendum sullo status di ogni regione dell’Ucraina», ha detto Yanikovic ripreso dall’agenzia Itar-Tass. Un progetto inaccettabile per Kiev che perderebbe inevitabilmente altri “pezzi” del Paese, e soprattutto i maggiori distretti industriali orientali.
*Il Sole 24 Ore
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