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L’Unione Europea alla conquista di Africa ed Estremo Oriente

In tempi di crisi del capitalismo e di competizione globale tra i poli geoeconomici la conquista di nuovi mercati e di nuove relazioni commerciali diventa prioritaria e sempre più forsennata. Anche perché i competitori – in particolare Stati Uniti e Cina – non se ne stanno certo con le mani in mano.

E così Bruxelles punta in maniera sempre più evidente verso nuove zone da ‘conquistare’, ad esempio l’Africa. Non è un caso che la cancelliera tedesca Angela Merkel, alcuni giorni fa, abbia incitato i giovani africani a ‘imparare il tedesco’ per avere nuove opportunità. E non è un segreto che i responsabili politici e militari di Berlino abbiano più volte affermato, negli ultimi mesi, che “per la Germania e per l’Unione Europea” l’Africa è diventata fondamentale. Non sarà più solo la Francia, con le sue missioni militari e la sua area di influenza economica mantenuta nelle ex colonie, a difendere e ad approfondire gli interessi strategici dell’Unione Europea, ma ora entra in campo anche la Germania con i suoi satelliti.

Lo si evince anche dal quarto vertice tra Unione Europea e paesi del ‘continente nero’ terminato ieri a Bruxelles, durante il quale il polo europeo si è impegnato “a contribuire finanziariamente alla pace e allo sviluppo africani”. Ma tra i temi centrali del vertice c’è stata la sicurezza, perché ovviamente non è possibile aumentare gli investimenti in paesi poco sicuri per gli imprenditori e i governi europei. E quindi l’Ue si è impegnata a contribuire con 750 milioni di euro in tre anni all’African Peace Facility, il fondo dedicato a questo scopo. In più, con l’aiuto europeo, oltre 17.000 militari africani saranno addestrati da qui al 2016 in Somalia, in Repubblica Democratica del Congo, in Libia, in Mali e nella regione del Sahel. L’Ue inoltre ha stanziato tre miliardi di euro in sette anni per l’agricoltura, un miliardo per l’integrazione panafricana e 350 milioni in borse di studio per studenti e ricercatori africani (affinché imparino il tedesco?).

Non si è invece ancora trovato un accordo soddisfacente sugli accordi di partenariato economico (Ape/Epa) che l’Unione Europea propone insistentemente all’Unione Africana, comunque assai più accondiscendente dopo la destituzione e l’uccisione di Muhammar Gheddafi da parte della Nato e dell’Ue. Il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, pur riconoscendo “i progressi” compiuti, ha sostenuto infatti che sugli Epa il vertice di Bruxelles avrebbe potuto “fare meglio e di più”.

Herman van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, ha definito gli accordi economici proposti “i mattoni dell’integrazione continentale verso un’area di libero commercio”, aggiungendo che questo processo sarà sostenuto con 844 milioni di euro in tre anni. Alla viglia della riunione, la firma di uno di questi accordi, quello con i paesi dell’Africa occidentale della Cedeao-Ecowas, era stato bloccato per le obiezioni della Nigeria.

Bruxelles non punta solo a sud, ma anche ad est.

Sempre più stretti e sempre più reciproci stanno diventando infatti i rapporti tra l’ex Birmania e l’Unione Europea (Ue), anche come risultato del recente tour del Commissario al Commercio Karel De Gucht che ha visitato recentemente (19-20 marzo) il paese asiatico. Durante il colloquio con il presidente Thein Sein, in particolare, De Ducht ha parlato di investimenti europei nei settori trainanti dello sviluppo birmano: industria estrattiva, legname, infrastrutture, comunicazioni, ma per la prima volta anche delle crescenti esportazioni verso i partner Ue, che Bruxelles intende promuovere con assistenza tecnica e facilitazioni. Il commissario ha avviato con il ministro per la Pianificazione nazionale e lo sviluppo economico un accordo per la tutela degli investimenti bilaterali, necessario per incentivare le iniziative di investimento reciproche.

In via di definizione c’è anche la nascita di una camera di commercio dell’Unione Europea in Myanmar, dove il valore degli scambi bilaterali ha raggiunto nel 2013 i 569 milioni di euro, con un incremento del 41% rispetto al 2012 e con potenzialità enormi e ancora non sfruttate.

I dati ufficiali indicano come lo scorso anno gli investimenti diretti in Myanmar da Austria, Cipro, Danimarca, Germania, Lussemburgo, Olanda e Regno Unito sono ammontati a quasi 4 miliardi di dollari.

Gli accordi del luglio 2012, successivi alla decisione dell’Organizzazione mondiale del lavoro di modificare il suo pesante giudizio sulle condizioni d’impiego nel paese, hanno aperto di fatto al Myanmar le porte di un mercato di 500 milioni di cittadini. Nell’aprile dello scorso anno, l’Ue ha tolto le sanzioni verso il paese, pur mantenendo l’embargo al commercio di armi, e due mesi dopo ha riammesso il paese nel sistema preferenziale che consente minori dazi doganali sulle esportazioni.

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