Menu

Grecia. Se vince il No, se vince il Si

Il referendum di domenica in Grecia è un fatto politico di prima grandezza. I suoi risultati lo saranno ancora di più nel delineare i tempi e i modi di un possibile cambiamento politico nello scenario europeo.

In primo luogo ci auguriamo e ci dovremo adoperare affinché prevalga il NO. Questo non è in discussione. Il segnale che ne verrebbe, al di là delle intenzioni dei suoi promotori – il governo di Syriza in Grecia – sarebbe quello di una rottura oggettiva e soggettiva del modello “diktatoriale” imposto da Bce, Ue, Fmi alla Grecia e ai paesi più deboli dell’Unione Europea. Sarebbe inevitabile e auspicabile che questo NO si diffonda come un virus, finalmente positivo, negli altri paesi europei alle prese con i vincoli dell’Eurozona e con le dolorose misure di austerità imposte alle loro popolazioni. L’isteria, l’arroganza e la violenza con cui le classi dominanti, i loro apparati ideologici e materiali (inclusa la Nato) stanno reagendo contro questa possibilità, conferma la loro “grande paura”.

Non solo. La vittoria del NO in Grecia, nonostante che Tsipras annunci una sua finalità tesa a riaprire un negoziato con Ue e Fmi su basi “più avanzate”, creerebbe tutte le condizioni per una rottura profonda dell’apparato di dominio costruito dalla Unione Europea e dall’Eurozona. Una rottura questa che inevitabilmente porrebbe, già da lunedì, l’esigenza obiettiva di costruire una nuova area di integrazione regionale, una nuova forma monetaria e relazioni economiche diverse dallo scambio disuguale imposto dal nucleo duro europeo ai paesi della periferia. Il ripudio del debito, la nazionalizzazione delle banche e delle aziende strategiche, nuove relazioni commerciali e nuovo regime di esportazioni e importazioni, sarebbero passaggi difficilmente eludibili per dare un futuro alla popolazione greca a seguito di una rottura a cui paradossalmente sembra lavorare più la Troika che il governo greco antiausterity.

Ma nel referendum in Grecia di domenica può vincere anche il SI. Una popolazione già martirizzata da sei anni di feroci misure antipopolari e sottoposta a ricatti, pressioni fortissime e al terrorismo psicologico da parte dell’apparato politico, economico, mediatico della governance continentale, un paese che ha vissuto nel passato recente la dittatura militare e che aveva visto nella dimensione europea la possibilità di lasciarsi alle spalle una esperienza dolorosa, potrebbe scegliere di rimanere dentro l’Eurozona e l’Unione Europea perché non vede o teme soluzioni alternative al massacro sociale esistente.

In questo secondo caso, l’euforia delle classi dominanti in Europa e la loro arroganza verso la Grecia e gli altri paesi deboli (Spagna, Portogallo, Irlanda ma anche Italia) saliranno di tono e cercheranno di decretare che questo è l’unico orizzonte possibile e l’unico spazio praticabile. Nessun negoziato o mediazione sono dunque possibili dentro i vincoli dell’Eurozona e dell’Unione Europea. Ma fino a quando? La vittoria del SI confermerebbe in maniera definitiva che l’Unione Europea/Eurozona ha rivelato il suo vero volto – quello più “cattivo”, esplicitamente antipopolare e antidemocratico- dunque che questi apparati non sono riformabili e che dentro di essi non c’è spazio per rinegoziazioni, modifiche, compromessi da parte dei paesi Piigs e di quelli più deboli. Le uniche modifiche ammesse sono quelle elaborate dal documento redatto dal nucleo franco-tedesco proprio per rafforzare la gerarchizzazione decisionale nell’Unione Europea e nella zona euro.

Ma se questo è vero, la conseguenza è che l’unica prospettiva politica praticabile per dare un futuro alle classi popolari in questi paesi è la rottura, la fuoriuscita dall’euro e dalla Ue, la costruzione di una nuova, diversa e alternativa area regionale con criteri completamente diversi.

In entrambi i casi, sia che vinca il No sia che vinca il SI, per la sinistra europea – Tsipras incluso – è la fine di ogni illusione di poter continuare a perseguire l’idea di un’altra Europa dentro l’Unione Europea esistente. Nel primo caso perché la rottura sarebbe nell’ordine delle cose e delle necessità, nel secondo perché rappresenta l’unica strategia politica possibile. Perchè non c’è cambiamento senza rottura e perchè non c’è rottura senza una prospettiva di cambiamento radicale dell’ordine esistente. Quella di domenica in Grecia è una partita importantissima, quelle decisive cominceranno immediatamente dopo. E niente sarà più come prima.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *