Se prima non lo sapevamo, negli ultimi due anni la crescita della protesta globale ci ha insegnato che manifestazioni di massa possono avere significati sociali e politici completamente diversi. Solo perché i dimostranti indossano bandane e costruiscono barricate – e hanno rimostranze genuine – non significa automaticamente che lottino per la democrazia e la giustizia sociale.
Dall’Ucraina alla Thailandia, dall’Egitto al Venezuela, proteste su larga scala hanno mirato – e a volte ci sono riusciti – a spodestare governi eletti durante l’anno precedente. In alcuni paesi le proteste di massa sono state guidate da organizzazioni di classe, contro l’austerità e il potere corporativo. In altri casi, le classi medie sono riuscite a far leva sui disordini per ripristinare il controllo di elite estromesse.
Talvolta, in assenza di organizzazione politica, le due cose possono anche coesistere. Ma qualsiasi cosa questi rappresentino, la TV li mostra per quelli che sono. Le manifestazioni di piazza sono state cosi efficienti nell’ottenere il cambiamento dei governi negli ultimi 25 anni, che le potenze globali sono riuscite a impossessarsi del ‘business’ delle proteste.
Dalla caduta del governo iraniano di Mossadegh negli anni 50, quando al CIA e il MI6 pagarono i dimostranti anti-governativi, gli USA e i loro alleati hanno sponsorizato le rivoluzioni colorate, finanziando le ONG e addestrando gli attivisti e gli studenti, per alimentare la protesta sociale e denunciare o ignorare – a seconda della convenienza –la repressione violenta. E dopo un periodo in cui si pavoneggiava sulla promozione della democrazia , stanno ritornando ai loro modi antidemocratici. Prendiamo ad esempio il Venezuela , che negli ultimi due mesi è stato scosso da proteste anti-governative volte a rovesciare il governo socialista di Nicolas Maduro , presidente eletto lo scorso anno dopo la morte di Hugo Chávez.
L’opposizione di destra venezuelana ha un grosso problema con il tema della democraziai, avendo perso 18 delle 19 tra elezioni e referendum tenute da quando Chavez venne eletto la prima volta nel 1998 (in un processo elettorale che venne descritto dall’allora presidente Jimmy Carter come “il migliore al mondo”). Le sue speranze si sono rianimate lo scorso Aprile, quando il candidato dell’opposizione a Maduro perse per solo l’1.5%. Ma a dicembre, le elezioni su scala nazionale hanno fatto riguadagnare alla coalizione chavista 10 punti in piu.
A quel punto, il mese successivo, i leader di opposizione legati agli USA – molti dei quali erano implicati nel fallito golpe organizzato da Washington nel 2002 contro Chavez – hanno lanciato una campagna per destituire Maduro, chiamando i loro sostenitori a “incendiare le strade con la lotta”. L’inflazione, la criminalità diffusa e la scarsità di beni di prima necessità hanno fornito il combustibile per questa campagna che ha trovato l’adesione di molta gente.
Per otto settimane hanno appiccato il fuoco a università, edifici pubblici, stazioni degli autobus, e 39 persone sono morte. Nonostante le affermazioni del segretario di stato USA John Kerry, che ha accusato il governo venezuelano di condurre una “campagna di terrore” contro i cittadini, l’evidenza suggerisce che la maggior parte dei morti sono stati provocati dai sostenitori dell’opposizione, visto che tra loro ci sono 8 membri delle forze di sicurezza e tre motociclisti decapitati dalle barricate. Quattro simpatizzanti dell’opposizione sono stati uccisi dalla polizia, e per questo alcuni ufficiali della polizia sono stati poi arrestati.
Quello che è stato dipinto come un movimento di protesta pacifico è di fatto una ribellione anti democratica, guidata da idee di privilegio di classe e razzismo. Oggi che la stragrande maggioranza della classe media è stata confinata nelle aree bianche ricche, le proteste sono ormai ridotte a bombardamenti incendiari e combattimenti rituali con la polizia, mentre la maggior parte dell’opposizione ha accettato i colloqui di pace.
Nel frattempo il sostegno al governo rimane solido nelle aree della classe lavoratrice, come ha dichiarato Anacauna Mrin, un attivista del Barrio 23 de Enero di Caracas: “Storicamente le proteste sono un modo per i poveri di chiedere miglioramenti per le proprie condizioni. Ma qui i ricchi protestano e i poveri lavorano”.
Secondo Maduro non cè da stupirsi di fronte a quello che sta avvenendo in Ucraina (la destabilizzazione sostenuta dagli USA). La denuncia degli USA è una scusa assurda. È evidente in Venezuela fin dal golpe del 2002 e poi confermato anche da WikiLeaks che l’intenzione degli Stati Uniti è di “penetrare”, “isolare” e “dividere” il governo venezuelano, attraverso il finanziamento su larga scala di gruppi di opposizione. Le prove della sovversione del Venezuela da parte degli Stati Uniti sono evidenti.
Non è solo perchè il Venezuela siede sulla più grande riserva petrolifera mondiale, ma anche perchè guida la marea progressista che ha investito l’America Latina negli ultimi decenni: sfida la dominazione USA, tiene per sé le risorse naturali e le sottrae alle multinazionali, redistribuisce ricchezza e potere. Nonostante i suoi attuali problemi economici, i successi del governo rivoluzionario del Venezuela sono indiscutibili.
Da quando ha ripreso il controllo del petrolio, il Venezuela lo ha usato per affrontare I problemi legati alla povertà e per ridurla del 70%, attraverso la sanità pubblica, l’edilizia popolare, l’educazione e i diritti alle donne, aumentando le pensioni, fondando migliaia di imprese pubbliche, rimettendo le risorse nelle mani della gente attraverso processi di democrazia partecipata, e istaurando progetti di sviluppo in tutta l America Latina e i Caraibi.
Non sorprende quindi che Maduro abbia ancora il sostegno della maggioranza della popolazione. Per mantenerla il governo dovrà affrontare ora il problema dell’inflazione, ed è sua intenzione farlo.
Gia i primi controlli stanno avendo un buon impatto. Nonostante tutti questi problemi, l’economia continua a crescere e la disoccupazione e la povertà diminuiscono. Il Venezuela è lontano dall’essere il prossimo bottino del nemico. Ma il rischio è che le proteste non siano tenute sotto controllo e che pezzi consistenti dell’opposizione gettino il paese in un caos violento e facciano fallire tutto.
Il Venezuela e i suoi alleati progressisti in America Latina si preoccupano di tutto il resto del mondo, non perché offrano un modello economico e politico perfetto e preconfezionato, ma perché hanno dimostrato che ci sono alternative sociali ed economiche al sistema neo liberista che ancora incatena l’occidente.
I loro avversari speravano che l’impulso al cambiamento regionale si fosse esaurito con la morte di Chávez. La recente elezione di Michelle Bachelet in Cile e dell’ex capo dei guerriglieri di sinistra Sánchez Cerén in El Salvador suggerisce che la marea invece continua a fluire. Ma potenti interessi in patria e all’estero sono determinati a contrastare tutto ciò, il che significa che in futuro ci saranno altre proteste in stile Venezuela.
Traduzione a cura di Contropiano.org (la scritta sul costoso Suv recita: “Maduro ci fa morire di fame”)
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