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Kiev: il regime pronto al sacrificio di Jatsenjuk?

In uno slancio di ottimismo quantomai irrealistico, ieri Natalija-Dipartimento-di-Stato-Jaresko, Ministro delle finanze del governo ucraino, ha pronosticato che l’Ucraina raggiungerà il livello della Svizzera entro il 2040. Intanto l’ex funzionaria dell’ambasciata USA a Kiev, sta lavorando di fino per togliere sabbia da sotto i piedi al premier Jatsenjuk e prendere il suo posto.

Mentre ieri a Minsk si è tenuta l’ennesima riunione del Gruppo di contatto – ancora irrisolte le questioni del ritiro delle artiglierie di calibro inferiore ai 100 mm e del cessate il fuoco – e l’ONU ha reso note le cifre ufficiali sul numero delle vittime (quasi 8mila morti dall’inizio del conflitto) nel Donbass, a Kiev Natalija Jaresko si è sbilanciata su un 4% di crescita annua del PIL ucraino, secondo le indicazioni del FMI. L’attività svolta sinora dal premier per volontà USA Arsenij Jatsenjuk non lascia certo intravedere un tale scenario; è per questo che negli ultimi giorni si sta alacremente lavorando a dargli il benservito, facendo attenzione, nel contempo, a coprirsi le spalle dalle incursioni sia del suo sponsor, il magnate Igor Kolomojskij, sia dei suoi squadristi di Pravyj sektor. Vengono così alla luce i reali retroscena della baraonda organizzata il 31 agosto all’interno della Rada (mentre fuori volavano bombe a mano) in occasione del voto sulle modifiche costituzionali; il vero obiettivo degli oppositori era solo in parte contrastare l’autonomia del Donbass, l’attacco diretto era al governo. Una lotta tra branchi di lupi per spartirsi il nuovo assetto ministeriale. E’ così che ieri un deputato del “Blocco Porošenko” ha annunciato che le frazioni parlamentari di “Autoaiuto” e “Patria” si appresterebbero a seguire il Partito radicale abbandonando la coalizione di governo. Del resto, la caimana di “Patria”, Julija Timošenko aveva chiesto giorni fa le dimissioni del gabinetto Jatsenjuk e ieri il presidente Porošenko ha annunciato che la prossima settimana la Rada dovrà ratificare le dimissioni del vice premier Valerij Voščevskij, in quota Partito radicale.

In verità, che Jatsenjuk, nei piani del Dipartimento di stato Usa, sia un dead-man-walking, da tempo non è un mistero nemmeno per lui. Gli ultimi scambi di convenevoli all’acido muriatico tra lui e il Governatore yankee di Odessa (alias ex presidente georgiano a stelle e strisce) Mikhail Saakašvili, pare preludano allo showdown finale. Ecco che ieri la Tass, riferendo una nota dell’informatissima (e devotissima alla junta) ucraina Apostrof, scriveva del futuro (anche se non proprio prossimo) ricambio a Kiev dando Natalija Jaresko come premier e Mikhail-ricercato-in-patria-Saakašvili suo vice, con delega alle riforme: rimarrebbe solo da stabilire chi tra i due sarà il gatto e chi la volpe.
La Komsomolskaja pravda riferiva le lamentazioni del probo Mikhail all’indirizzo del governo: “il potere è completamente paralizzato! Kiev sabota le riforme! Gli oligarchi dominano tutto! Il Governo serve oggi gli interessi di Kolomojskij, come prima quelli di Akhmetov” e via litaniando. Al che il quasi già catafaltico Arsenij rispondeva che “non conviene all’ex presidente lanciare false accuse. Mi sono imbattuto in una nuova porzione di rivelazioni del principale georgiano di Odessa”, ricordandogli quasi di sfuggita, ma per ben due volte in mezza frase, che anche lui, come le centinaia di migliaia di disperati che sbarcano in Europa, in Ucraina è un immigrato, ancorché investito di autorità “per la sua esperienza nel campo delle riforme”. E, chiamato in causa con nome e cognome, abituato com’è ad affrontare le vertenze (non solo per il controllo su Naftogas) con il mitra in mano, Igor Kolomojskij attacca da par suo il “cane senza museruola” che, se “morde qualcuno, deve essere punito, insieme col padrone. In questi casi, il cane viene abbattuto. Nel nostro caso, si può rispedire per raccomandata in Georgia, perché risponda delle persone che ha morso anche lì”. Tra così armoniose giaculatorie, parabole su appalti truccati e assegnazioni a compagnie offshore o nomine di amici degli amici a capo di porti e aeroporti, zio-Sam-Mikhail replica: “L’oligarca propone di abbattermi come un cane; dopo i tentativi infruttuosi di corruzione e discredito, è passato all’ultimo scenario noto agli oligarchi, le minacce aperte”, dice con tono da novizia, fuggita dalla clausura caucasica dove era ricercata per abuso di potere, peculato e complicità nella morte dell’ex primo ministro Zurab Žvania.

Su di un punto forse Komsomolskaja pravda non ha visto giusto, quando scrive che “nella mischia non è ancora intervenuta l’artiglieria pesante: Pëtr Porošenko e il Dipartimento di stato USA”.

Per quanto riguarda il primo, qualche parola l’ha già spesa e non proprio in favore del suo attuale primo ministro – “il conflitto riflette l’insoddisfazione sui tempi e la profondità delle riforme” – pur cercando di tirare il classico colpo sia al cerchio che alla botte, aggiungendo che “l’insoddisfazione è in tutti: nelle persone, in me, nel primo ministro, nel governatore di Odessa e in tutti e due c’è il desiderio di correggere l’attuale situazione”. E, pilatescamente ma abbastanza chiaramente, “ogni cambiamento nella squadra di governo, qualsiasi cambiamento, io lo accetterò; beninteso adottato dalla coalizione”. Del resto, sarà un caso che la petizione a favore della nomina di Saakašvili a premier, sia stata ospitata sul sito web presidenziale? Il modesto Mikhail, alla notizia che l’istanza, lanciata appena il 28 agosto, ha già raggiunto le 25mila firme necessarie, ha dichiarato con aria vereconda di non vedersi nelle vesti di primo ministro. Per la verità, appena pochi giorni prima, l’emigrante Mikhail aveva anticipato una criptica previsione di una ancor breve sua permanenza sulle rive del mar Nero, quasi a rimembrare il puškiniano “vivevo allora a Odessa”, ma ora guardo già a Kiev.

Per quanto riguarda poi il Dipartimento di stato, pochi in Ucraina pensano che qualsiasi mossa avvenga prima che sia giunta la relativa istruzione dalle rive del Potomac. Dunque, le cose sembrano mettersi decisamente male per Arsenij-vallo-europeo-contro-i-russi-Jatsenjuk. Dove andrà a smaltire la delusione per il trattamento che gli stanno riservando? Di certo non ad est: è di ieri l’anticipazione (l’intervista al presidente del Comitato di indagine federale russa, Aleksandr Bastrykin, esce oggi sulla Rossijskaja gazeta) che a Mosca non hanno più solo pretese finanziarie (per i 3 miliardi di $ di debito ucraino) nei suoi confronti. Testimonianze a quanto sembra più che affidabili danno il giovane Arsenij combattente UNA-UNSO (la formazione di estrema destra fascista sorta a Kiev nel 1990) nelle file cecene e autore di torture e fucilazioni contro soldati russi prigionieri, durante la seconda guerra cecena, nel 1994-’95, decorato per questo da Džokhar Dudaev. E già allora era in buona compagnia: per citare solo i nomi più noti, nazisti dichiarati quali Dmitrij Jaroš e Oleg e Andrej Tjagnibok, membri delle formazioni “Argo” e “Viking” in Cecenia.

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