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Vietnam. Ondata di attacchi anticinesi, 21 morti

E’ salita alle stelle la tensione in Vietnam dove da giorni si registra un’ondata senza precedenti di attacchi contro interessi e proprietà cinesi iniziata nel fine settimana e aggravatasi ulteriormente nelle ultime ore.
Secondo un primo bilancio provvisorio sa
rebbero almeno 21 i morti causati dalla rivolta che prende di mira le aziende cinesi nel paese. Tra questi – riferisce la stampa locale – cinque sono cittadini vietnamiti, gli altri presumibilmente cinesi. Oltre alle devastazioni e gli incendi di aziende di proprietà o di gestione cinese in almeno quattro provincie del paese dove si concentrano le imprese straniere, si sono registrate anche aggressioni contro singoli individui. Una situazione che rischia di sfuggire ulteriormente al controllo e che per questo, da ieri, ha visto scendere in campo massicci contingenti di poliziotti anti-sommossa che finora si erano tenuti relativamente alla larga da una protesta che se il governo di Hanoi non ha sostenuto sicuramente finora non ha apertamente osteggiato. Secondo le cifre fornite alla stampa dal Ministero dell’Interno di Hanoi finora sarebbero state circa 500 le persone arrestate dalla polizia.

Nel solo ospedale generale della provincia centrale di Ha Tinh, i feriti ricoverati sarebbero un centinaio, in maggioranza – secondo le autorità ospedaliere – cittadini cinesi. Un altro lavoratore cinese è stato ucciso in un impianto siderurgico di proprietà taiwanese nella stessa provincia. Il Formosa Plastics Group, a cui appartiene l’impianto, è il maggiore investitore di Taiwan in Vietnam, a conferma che le rivolte, accese  dall’aggravarsi della disputa tra Cina e Vietnam sulle isole contese del Mar cinese meridionale – che i vietnamiti chiamano Mare Orientale – rischia di coinvolgere non solo impianti e personale della Repubblica popolare cinese, ma anche quelli di Taiwan e Singapore.

Nella sola area di Binh Duong, secondo la polizia, sono ben 460 le aziende che sono state in qualche modo danneggiate e in alcuni casi sono state costrette alla chiusura.

Da ieri sera, si registrano anche le prime reazioni cinesi. Pechino ha avvertito i suoi cittadini che intendono andare come turisti in Vietnam della situazione e dei rischi e ha accusato Hanoi di incoraggiare quella che è la maggiore rivolta anti-cinese da decenni, risultato – come sottolineato dai media ufficiali – “di anni di propaganda governativa”. “La tolleranza cinese non deve essere spinta oltre i limiti”, ha avvertito Pechino dalle pagine del Global Times e al governo di Hanoi ha chiesto di compensare gli investitori stranieri danneggiati.

L’ondata anticinese in corso mette a rischio un interscambio economico tra i due paesi cresciuto di molto negli ultimi anni, e che nel 2013 era pari a 50 miliardi di dollari (+22% rispetto all’anno precedente), di cui 37 miliardi di export cinese e 13 di export vietnamita. La Cina è per il Vietnam il primo partner commerciale, con una quota del 28% sulle importazioni e del 10% sulle esportazioni. L’obiettivo dei due governi è di portare l’interscambio a 60 miliardi di dollari nel 2015, ma la contesa sull’arcipelago conteso, il cui sottosuolo nasconde ingenti riserve petrolifere e di gas, potrebbe danneggiare le finora fiorenti relazioni economiche tra Pechino ed Hanoi.

Il Vietnam è da anni una destinazione tra quelle preferite dalle multinazionali di vari paesi in cerca di manodopera a basso costo: il settore principale è quello del tessile-abbigiliamento con un export di oltre 11 miliardi di dollari e 2 milioni di lavoratori (un quarto della forza lavoro totale impiegata nell’industria). Segue la produzione di calzature, i cui ricavi sono triplicati in dieci anni e ora valgono oltre 5 miliardi di dollari, in particolare nel settore delle calzature sportive (Nike e Adidas la fanno da padroni). In forte ascesa anche l’elettronica di consumo e la componentistica per computer, che valgono circa 4 miliardi di dollari di export.

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