Mentre il 2 settembre Gazprom ha fermato a tempo indeterminato il “Nord stream-1”, causa malfunzionamenti sull’ultima turbina rimasta operativa e ha sollecitato la Siemens per le necessarie riparazioni, si ricorderà come, poco più di un mese fa, la Commissione Europea avesse “cortesemente stimolato” i paesi UE a concludere contratti con l’Azerbajdžan per le forniture di gas.
Lo scorso 17 luglio la von der Leyen in persona era volata a Baku per sottoscrivere il memorandum della Commissione Europea sull’esportazione di gas azero fino al 2027, «attraverso il Corridoio meridionale» del gas.
Il memorandum prevedeva, in particolare, il raddoppio della portata del Corridoio meridionale, in modo da passare dagli 8 miliardi di mc giunti in Europa nel 2021, ai 12 del 2022, fino poi a 20 mld di mc.
Ecco che, lo stesso 2 settembre, ospite quanto mai gradito a Cernobbio, il Presidente azero Il’kham Aliev, informando il grazioso auditorio che l’Azerbajdžan ha in programma di raddoppiare l’attuale portata complessiva (16 miliardi mc) del gasdotto transanatolico TANAP, per arrivare a esportare 32 miliardi di mc di gas verso l’Europa, ha sollecitando «passi importanti: decisioni politiche, misure tecniche e, ovviamente, investimenti» da parte di quei rappresentanti delle élite civilizzate d’Occidente, riunite in cenacolo d’affari.
Il TANAP (gestito dalla svizzera SOCAR, che controlla il 58% del capitale, dalla turca BOTAŞ col 30% e la britannica BP col 12%), partendo dall’Azerbajdžan come gasdotto Sudcaucasico (SCP), attraversa Georgia e Turchia fino alla frontiera con la Grecia, dove si innesta nel gasdotto Transadriatico (TAP).
L’interesse occidentale, e specificamente turco, nella questione del gas azero e del relativo gasdotto, la dice lunga anche sul forte e diretto sostegno di Ankara a Baku nel conflitto con l’Armenia per il Nagorno Karabakh, con gli azeri che continuano a rosicchiare villaggi e cittadine lungo il cosiddetto corridoio di Lačin, che collega Erevan a Stepanakert.
Dunque, il raddoppio del Corridoio meridionale, nelle parole pronunciate a luglio dall’illuminata Ursula Gertrud, aiuterà «a compensare» le interruzioni nella fornitura di gas russo e «aumenterà notevolmente» la sicurezza degli approvvigionamenti in Europa… illo tempore ea dixit. Per il momento, il previsto (o presunto) raddoppio delle importazioni di gas azero in Europa è auspicato per il 2027. Tra cinque anni.
Europa alla cui porta risuona peraltro un forte campanello d’allarme sulla sua tenuta. Altri rintocchi si erano già avuti con le reciproche ripicche sulle forniture di vaccini, osserva il politologo Jurij Barančik sulla russa IARex; ora il nodo centrale che arriva a evocare lo spettro di uno sfaldamento, è la questione energetica.
Non solo la Norvegia rifiuta di fornire più elettricità; la Polonia (ma questa è storia vecchia) chiede ora formalmente a Berlino 1,3 trilioni di euro quale “risarcimento” per le perdite nella seconda guerra mondiale, dopo che, un paio di settimane fa, il premier Mateusz Morawiecki, addirittura su Die Welt, aveva accusato Berlino di perseguire «gli interessi russi nell’Unione europea».
A questo proposito, osserva Barančik, sorge una domanda logica: se l’attuale modello UE di 27 Paesi non è più praticabile, quale altro modello può sostituirlo?
«Molto probabilmente, la forza diventerà il principale fattore, quando i principali paesi europei (Russia, Germania, Austria) assorbiranno i piccoli limitrofi e alcuni grandi (Ucraina, Polonia) dell’Europa orientale». Ne vedremo di belle.
Ora, la famosa “casa comune europea” di cui parlava a suo tempo Mikhail Gorbačëv nella sua smania auto-“inclusiva”, ha deciso (meglio: le è stato in gran parte imposto di decidere) di sloggiare l’unico, o quasi, inquilino, in grado scaldarla e, soprattutto, interessato a combinare reciproci vantaggiosi affari per i propri e gli altrui monopoli.
Ed è scoppiata la mina del gas, che vede volare schegge e spezzoni mortiferi, che causano chiusura di attività, licenziamenti in massa e immiserimento delle situazioni sociali già da trent’anni massacrate dai “governi tecnici” di ispirazione draghiana.
Ciò non impedisce alle grosse aziende USA, come testimonia l’americana Associated Press, di continuare a ricevere merci russe (legname, metalli, gomma, ecc.) con circa 3.500 spedizioni al mese, in barba alle famigerate sanzioni con cui ci si sciacqua la bocca al di là e al di qua dell’Oceano.
«Si tratta di un calo significativo», chiosa AP, citata da Shipping Magazine, «rispetto allo stesso periodo del 2021, quando erano state registrate circa 6.000 spedizioni, ma si parla comunque di un fatturato di oltre 1 miliardo di dollari al mese». Questo è quanto gli USA regalano agli “alleati” europei.
Terminiamo con un paio di note positive. Per il 5 settembre è prevista a Berlino una manifestazione di varie forze unite, che si dirigeranno verso la sede dei neo-guerrafondai di Bündnis 90/Die Grünen, all’insegna de “Quando è troppo è troppo – protestare e non congelare” e dello slogan “Riscaldamento, pane e pace“.
Già ieri invece, a Praga – ne dà notizia addirittura Radio Svoboda in lingua russa, su fonti della polizia ceca – oltre 70.000 persone hanno manifestato, chiedendo le dimissioni del Governo, la neutralità del Paese e accordi per l’acquisto di gas dalla Russia.
Quantunque, a giudicare da alcuni slogan, almeno parte della manifestazione rivestisse carattere nazionalista – “Prima di tutto la Cechia” – prevalenti sarebbero stati gli slogan contro UE e NATO e contro il sostegno all’Ucraina, insieme alle critiche al Governo per l’aumento dei prezzi dell’energia e l’inflazione.
A seguire, nei prossimi giorni, a Roma, Milano, Torino, Napoli, Firenze….
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