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Libia, è guerra civile: assalto al parlamento, scontri a Tripoli e Bengasi

La Libia ‘liberata’ dalla Nato ha sempre più l’aspetto di un inferno dantesco. Dopo la ribellione tribale che tre anni fa, con la regia di Unione Europea, Stati Uniti e petromonarchie arabe, ha defenestrato Muammar Gheddafi e il suo regime, la Libia è sprofondata in una lotta intestina di bassa intensità che, lontano dall’attenzione dei media, ha provocato finora diverse centinaia di vittime in scontri tra diversi signori della guerra e bande armate che si contendono il potere e il controllo dei diversi territori.

Ma quel che sta accadendo in queste ore a Bengasi e a Tripoli è qualcosa di assai più grave, una vera e propria guerra civile che vede in campo da una parte l’esercito privato di un ex generale e dall’altra alcune importanti milizie islamiste. Uno scontro per il controllo del potere o, almeno, per quello dei pozzi petroliferi dell’est di uno Stato che non esiste più.
I media segnalano scontri e sparatorie a Tripoli, fin dentro la sede del Parlamento, e scontri a Bengasi, dove ci sarebbero stati già 80 morti e 140 feriti. Nella notte l’ultimo attacco: uomini armati hanno lanciato razzi contro la base base aerea militare di Benina a Bengasi, sembra questa volta senza causare vittime. Lo rende noto il comandante della base, il colonnello Saad al Werfalli che ha accusato dell’attacco gruppi islamisti radicali. E’ dalla Cirenaica che sono iniziati pochi giorni fa gli scontri presto estesisi alla capitale e ad altre zone.
Secondo il debole governo l’azione dei militari e delle milizie dell’ex generale Haftar a Bengasi è stato un tentativo di colpo di Stato. Per non parlare dell’assalto di ieri al Parlamento alla periferia di Tripoli con blindati e armi pesanti, che avrebbe fatto due morti e 55 feriti.
“Nessun collegamento reale” con l’offensiva lanciata venerdì dall’ex generale Khalifa Haftar contro gruppi di islamisti radicali a Bengasi dice il ministro della giustizia libico Salah Al-Marghani, ma non sembra credibile. Ieri i mezzi blindati degli insorti sono arrivati fin dentro il Parlamento: un edificio limitrofo è stato dato alle fiamme, numerose autovetture sono state danneggiate e distrutte, i deputati e i dipendenti sono stati costretti a uscire in tutta fretta cercando di evitare carri armati e pick-up pieni di uomini armati ma in abiti civili. Almeno venti parlamentari sarebbero stati presi in ostaggio durante l’assalto.
Nelle ultime ore almeno quattro razzi hanno colpito la sede della tv privata libica, Lybia International, poco dopo che l’emittente aveva rilanciato l’annuncio del colonnello Mokhtar Fernana, che ha detto di parlare a nome dell’esercito – in realtà si tratta di un uomo di Haftar – della “sospensione” del Congresso nazionale generale (Cng, Parlamento) libico.
Venerdì scorso il generale Khalifa Haftar ha lanciato un attacco contro le milizie integraliste islamiche con l’apparente intenzione di “ripulire la Cirenaica”. “L’operazione militare continuerà fino a ripulire Bengasi dai terroristi” ha dichiarato Haftar alla rete televisiva Libya Awalan. 80 morti e oltre cento feriti. raid aerei ed esplosioni. Il governo ha definito l’azione un “colpo di stato” e sono stati vietati tutti i voli nel cielo della regione.
“La nostra operazione non è un colpo di Stato e l’obiettivo non è quello di prendere il potere” ha risposto l’ex generale Khalifa Haftar al governo. La voglia di dare una lezione alle organizzazioni islamiste radicali e jihadiste radicate a Bengasi potrebbe aver convinto alcune frange dell’esercito che nell’est della Libia hanno messo a disposizione di Haftar e dei suoi aerei, elicotteri e armi pesanti. Oltre a un imprecisato numero di alti ufficiali e soldati che si sono autodefiniti “Esercito nazionale libico”, associandosi al suo proclama: “Non molleremo finché non avremo raggiunto i nostri obiettivi”. Cioè difendere “il popolo, dai terroristi…non voglio il potere. Ho solo risposto agli appelli della popolazione” stremata da più di tre anni di guerra. E a pezzi anche economicamente, visto il blocco dei terminal petroliferi e delle esportazioni di quella che era la maggiore ricchezza del Paese a causa delle mire delle tribù locali che hanno anche cercato, prima dell’intervento dei Marines degli Stati Uniti, di vendere il petrolio all’estero senza passare per il governo centrale. 
Seganala l’informato Alberto Negri su ‘Il Sole 24 ore” di oggi che “La Libia ha trovato un generale che vuole imitare, almeno negli obiettivi immediati, l’egiziano Abdel Fattah Sisi, l’arcinemico dei Fratelli Musulmani che è diventato l’uomo forte del Cairo e si prepara a diventare presidente”.
Non è la prima volta che l’ex generale Khalifa Haftar prova a prendere con la forza il controllo della Libia, ci aveva già provato a febbraio quando da una tv annunciò la propria volontà di ‘riportare l’ordine’ nel paese ma il suo tentativo di golpe fallì ben presto. 
Spiega ancora Negri: “Haftar, 71 anni, che era il comandante negli anni ’80 delle truppe libiche in Chad, è tornato in forze, disponendo non solo di reparti di militari a lui fedeli ma anche dell’aviazione che ha impiegato per bombardare a Bengasi le postazioni islamiste. Al suo fianco si sarebbero schierate alcune milizie, come quella di Zintan, la città dove è tenuto in carcere Saif, il figlio di Gheddafi”. 
Chi sta aiutando Haftar, chi c’è dietro il militare che guarda al modello egiziano? “Dopo la sconfitta libica in Chad, Haftar passò negli Stati Uniti per insediarsi in una cittadina vicino a Langley, sede della Cia. Di lui si è sempre parlato di un uomo degli americani che sicuramente si appoggiarono anche a lui per la defenestrazione del Colonnello Gheddafi. Haftar ha sempre tenuto i contatti con i gruppi dell’opposizione, sia quelli rifugiati negli Usa che in altri Paesi del Medio Oriente, dall’Egitto all’Iraq e appartiene alla generazione degli oppositori “laici” del Colonnello” racconta l’articolista del Sole 24 Ore.

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