Sembrerà incredibile ma in una Unione Europea in cui il diktat della troika nei confronti di tutti i paesi in questi anni è stato ‘aumentare l’età pensionabile’ il governo tedesco ha appena ottenuto dal parlamento di Berlino il via libera all’abbassamento dell’età di pensionamento a 63 anni per alcune categorie di cittadini. La nuova legge contraddice quella approvata nel 2007 con il voto unanime di democristiani e socialdemocratici che contemplava un graduale aumento fino a 67 anni tra il 2012 e il 2029.
La nuova misura ha ricevuto ben 460 voti a favore, solo 64 contrari e 60 astensioni, anche in questo caso grazie all’ampissima maggioranza di cui godono socialdemocratici e conservatori. Si tratta di una vittoria in particolare della Spd, varata alla vigilia delle elezioni europee nonostante le critiche degli economisti liberali secondo i quali mandare in pensione prima i lavoratori può avere per il paese un costo economico elevato, visto il graduale invecchiamento della popolazione e la carenza di lavoratori specializzati difficili da rimpiazzare. Secondo la nuova norma appena approvata, alcune categorie di cittadini potranno andare in pensione a 63 anni ma solo se hanno lavorato per almeno 45 anni e anche se durante questo lunghissimo periodo hanno vissuto brevi momenti di disoccupazione. Secondo gli analisti la nuova misura costerà circa 900 milioni quest’anno e ben 3,1 miliardi di euro all’anno intorno al 2030.
Inoltre il Bundestag ha anche approvato una norma in virtù della quale 9,5 milioni di persone i cui figli sono nati prima del 1992 riceveranno maggiori benefici che saranno corrisposti soprattutto attraverso un aumento dei contributi statali alla Sicurezza Sociale. Il costo per lo stato sarà di circa 7 miliardi di euro l’anno. La nuova legislazione contempla anche il pensionamento anticipato per ragioni di salute, anche in questo caso con un esborso non indifferente da parte delle casse dello Stato tedesco. Che, nonostante più di mezzo continente sia in preda alla crisi nera e sottoposta dalle istituzioni dell’Europa carolingia ad una spietata politica di tagli ed austerity, sono piene. La Germania, è il caso di ribadirlo, non è il paese del bengodi per tutti: milioni di lavoratori, soprattutto giovani e stranieri, guadagnano appena il necessario per sopravvivere e negli ultimi anni i governi di Berlino hanno incrementato il carattere precario di molti contratti e favorito in tutti i modi il ricorso ai minijob, minilavori da sommare uno all’altro per arrivare a fine mese. Ma la Germania sa che se vuole creare una base di consenso forte e stabile all’interno del paese che gli permetta di allungare le mani sul resto del continente – maltrattato e soffocato da privatizzazioni, tagli, licenziamenti – non può spremere troppo la sua classe lavoratrice e la deve se possibile “coccolare”. Come dimostra, ad esempio, la cancellazione, negli ultime mesi, delle tasse universitarie in numerosi Land della Repubblica Federale.
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