Vittoria annunciata e scontata del camaleontico oligarca Petro Poroshenko che al termine delle elezioni presidenziali di ieri in Ucraina ha sbaragliato tutti i contendenti con un distacco madornale, senza aver bisogno di ricorrere al secondo turno che in una condizione di guerra civile e di divisione del paese sarebbe stato non poco problematico organizzare. Il ‘re del cioccolato’ – e di molto altro – si è affermato con il 53.75% delle preferenze (con il 70% delle schede scrutinate), contro solo il 13.15% andato all’ex premier Yulia Timoshenko che ha subito una durissima sconfitta e che è tallonata con un 8.5% dal leader del Partito Radicale Oleg Liashko, che chiede la rottura delle relazioni con Mosca e la pena di morte per i leader ‘separatisti’ del sudest del paese. Solo altri due candidati hanno ottenuto più del 5%: l’ex ministro della difesa Anatoli Gritsenko e l’ex vice primo ministro Serguéi Tigipko.
Magrissimi risultati per il candidato del partito nazionalsocialista Svoboda, Oleg Tiagnobok, che si sarebbe aggiudicato solo il decimo posto con appena l’1,17% dei voti, seguito a ruota dal “duce” di Settore Destro, Dimitri Yarosh con neanche lo 0.7%.
Presentandosi ieri sera tardi di fronte ai giornalisti ucraini e internazionali, Poroshenko ha rivendicato la vittoria e ha annunciato di voler convocare elezioni legislative prima della fine dell’anno. E in quell’occasione gli equilibri tra le varie forze politiche potrebbero cambiare di molto visto che in queste elezioni presidenziali gli accordi tra i diversi oligarchi e la denuncia di alcuni candidati popolari sono stati pilotati in modo da orientare il voto verso una soluzione di compromesso. Poroshenko è stato infatti un sostenitore della cosiddetta ‘rivoluzione arancione’ filoccidentale del 2004, poi ha sostenuto il precedente governo ‘filorusso’, poi è passato a sostenere attivamente i golpisti durante la prova di forza di Maidan nell’inverno scorso. Durante la campagna elettorale ha promesso di cercare di ricucire i rapporti con le comunità del sud e dell’est del paese insorte contro il governo ultranazionalista di Kiev, ha abbassato i toni polemici nei confronti della Russia e ha affermato che per ora non è il caso di far aderire il paese alla Nato per non creare eccessive tensioni. Poroshenko ha comunque difeso l’adesione del paese all’Unione Europea ma anche l’intenzione di promuovere una riforma federalista dell’Ucraina, affermando che il suo primo viaggio da presidente sarà nelle regioni insorte del Donbass, alla ricerca di un accordo con le autorità parallele designate dagli antigolpisti. D’altronde, nel suo programma, Poroshenko ha inserito la proposta di considerare ‘lingua coufficiale’ il russo in quelle regioni in cui lo parla almeno il 10% degli abitanti. Ha anche promesso che combatterà la corruzione e che venderà la sua impresa Roshen, una delle più grandi aziende di dolciumi del pianeta.
Poroshenko ha informato che manterrà al suo posto il primo ministro attuale, Arseni Yatseniuk, mentre interverrà con forti cambiamenti sulla composizione del suo esecutivo, con l’introduzione anche di un ‘Ministro degli Affari per la Crimea’ con il compito di lavorare affinché la penisola annessa alla Russia dopo il golpe possa tornare a Kiev.
Da parte sua Yulia Timoshenko non ha potuto fare altro che riconoscere la sconfitta ma ha insistito sulla necessità di celebrare un referendum che porti subito l’Ucraina all’interno della Nato. “Quelle di oggi sono state elezioni giuste e limpide, forse le elezioni più corrette dei nostri 23 anni di indipendenza” ha avuto il coraggio di dire l’ex premier.
Ma secondo la comissione elettorale alla fine della tornata elettorale il tasso di partecipazione al voto sarebbe stato del 60%. Non proprio entusiasmante per un paese descritto come desideroso di partecipazione, di libertà, di democrazia. D’altronde, secondo un sondaggio pubblicato nei giorni scorsi, solo un 4% degli elettori pensa che Poroshenko sia ‘una persona onesta’.
Sicuramente non lo apprezzano gli abitanti delle regioni di Donetsk e Lugansk, che ieri in gran parte hanno disertato i pochi seggi aperti nelle due ‘Repubbliche Popolari’, dove più di metà delle sezioni elettorali previste sono rimaste chiuse e dove molte altre sono rimaste deserte. Per rimediare a questa situazione, alcuni media ucraini hanno pensato bene di pubblicare foto che ritraevano centinaia di persone in fila ai seddi di Donetsk e Lugansk per votare. Peccato che le foto risalivano al referendum dell’11 maggio scorso, quando le rispettive popolazioni hanno deciso il distacco da Kiev. Il sito della Commissione Elettorale Centrale di Kiev è andato anche più in là riportando una discreta affluenza alle urne nella città di Slaviansk, assediata da settimane dalle truppe governative e dai neonazisti, e dove nessun seggio era stato ovviamente allestito. L’imbroglio non è sfuggito al sindaco popolare della città, Ponomarev, che ha denunciato la falsificazione della realtà ad opera dei golpisti. Brogli e gente che votava due o tre volte, e un clima di generale improvvisazione delle operazioni elettorali, sono stati segnalati e denunciati dalle opposizioni – comunisti e Partito delle Regioni – a Kiev e in molte altre città, con tanto di documentazione fotografica. In alcuni seggi, ad esempio, i prima elettori che hanno depositato la scheda ieri mattina hanno trovato nelle urne già decine di schede votate…
Il che non ha impedito al governo russo di affermare, di nuovo, che tratterà con rispetto “la volontà del popolo ucraino’ espressa nelle urne e si dichiara disposto a dialogare con l’oligarca Petro Poroshenko. A dirlo il capo della diplomazia russa Lavrov.
Da parte sua neanche l’Osce ha avuto nulla da ridire sulla correttezza del voto di ieri.
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