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Sciopero della fame a oltranza dei prigionieri palestinesi. Scontro sull’alimentazione forzata

Più di duecento prigionieri politici palestinesi “in detenzione amministrativa”da oltre sei mesi (alcuni di loro lo sono da anni) sono arrivati ormai al 43° giorno di sciopero della fame e un’ottantina di loro sono già stati ricoverati in ospedale.

Questa ennesima protesta prende il nome di “Intifada della fame” e denuncia drammaticamente il colonialismo israeliano che ricorre alla detenzione amministrativa (in carcere anche senza prove) e usa strumenti coercitivi tra i più biechi e brutali al mondo come l’alimentazione forzata contro i prigionieri in sciopero della fame. Netanyahu, vuole stroncare la protesta ed ha chiesto che la Knesset approvi rapidamente una legge che imponga l’alimentazione forzata ai detenuti. Una decisione questa che ha suscitato scalpore e resistenze anche nelle associazioni dei medici israeliane pure ben abituate a tacere sul regime di oppressione contro i palestinese. Occorre rammentare che i palestinesi della Cisgiordania sono sottoposti alle autorità militari israeliane. L’ordine di un ufficiale israeliano è sufficiente per finire in carcere con l’arresto che viene rinnovato ogni sei mesi. L’occupazione coloniale israeliana infatti ha mantenuto il meccanismo della detenzione amministrativa mutuato dal colonialismo britannico: si tratta della disposizione 1651. Nelle carceri israeliane ci sono attualmente 5.330 prigionieri politici palestinesi, fra loro più di 200 sono in “detenzione amministrativa” e sono quelli che hanno deciso di passare allo sciopero della fame totale.

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