Con i suoi 200 milioni di abitanti, è il più popoloso dell’America latina grazie al considerevole sviluppo demografico che ha visto crescere la sua popolazione di ben 110 milioni di unità fra i Mondiali del 1970, e quelli del 2014.
La società si presenta sostanzialmente stratificata in quattro macro-gruppi sociali corrispondenti alla classe agiata, classe medio-alta, classe medio-bassa e classe-operaia. Tale stratificazione sociale riflette anche quella razziale visto che il 10% dei bianchi possiede il 75% di tutta la ricchezza nazionale.
Da alcune stime emerge infatti che tra i 20 milioni di brasiliani più ricchi, 18 milioni sono bianchi, mentre dei 16 milioni di persone che vivono in condizione di estrema povertà, 11 milioni sono neri. Tuttavia, pur essendo il reddito delle fasce sociali più ricche 42 volte superiore rispetto a quello delle fasce più povere, negli ultimi anni si è assistito ad un accorciamento delle disparità economiche e ad un miglioramento percentuale nelle varie fasce.
In particolare, grazie agli interventi redistributivi praticati dai governi nel decennio 2003-2013 – tra cui l’intervento della Bolsa Familia – 42 milioni di brasiliani hanno migliorato notevolmente le loro condizioni economiche e sociali. Ciò ha comportato l’emergere in modo repentino di una grande e variegata classe media che ha già dato prova di essere una componente attiva della società per come ampiamente dimostrano le recenti e tutt’ora in corso manifestazioni che rischiano di mettere alle strette il governo della Dilma Rousseff.
Secondo alcuni politologi che analizzano i comportamenti dei movimenti sociali, le ondate di protesta che stanno paralizzando le maggiori città del Brasile sono infatti determinate non dalla povertà ma dalla crisi di prospettive, tipica di quelle società che sperimentano rapide trasformazioni e in cui la domanda dei servizi cresce a velocità più sostenuta rispetto alla capacità dei governi di soddisfarla.
Nonostante il Paese disponga di un’estesa superficie rurale, l’85% dei brasiliani vive nelle città; il 17% della popolazione attiva è addetta all’agricoltura mentre il 61% è addetta ai servizi. L’alto tasso di concentrazione della popolazione nei centri urbani, avvenuta tra gli anni ’70 e ’80, è principalmente attribuibile alle scelte di politica economica intraprese dai governi di quel periodo che, favorendo l’ingresso delle grandi compagnie dell’agri-business internazionale, non si curarono degli effetti che quelle stesse politiche avrebbero provocato all’economia contadina, progressivamente marginalizzata. Questo capovolgimento della situazione ha sia modificato la struttura agraria divenuta nel frattempo appannaggio esclusivo del grande capitale, che prodotto una grave crisi sociale di cui ne hanno fatto le spese principalmente le comunità rurali, che da proprietari sono state degradate in classi di lavoratori temporanei, senza stabilità e con salari estremamente ridotti con l’effetto di generare una grande massa di diseredati costretta a riversarsi nelle periferie delle grandi città.
In definitiva, il Brasile che oggi si presenta al grande appuntamento dei Mondiali di calcio e che attrae i riflettori di tutti i paesi del mondo è costretto a ricercare una nuova sintesi tra il rinnovamento politico sociale e la continuità con quanto realizzato fino a questo momento al fine di garantire un maggiore equilibrio sociale.
Fonte: http://www.misna.org/
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