“In che modo e in che lingua bisogna dirvelo?” chiede Gideon Levy agli Stati Uniti e all’Europa, in un articolo pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz, esigendo sanzioni contro Israele, le uniche in grado – sottolinea – di condurre ad una parità di diritti tra Israeliani e Palestinesi.
Articolo di Gideon Levy pubblicato il 31 maggio da Haaretz (http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.596400)*
“Gli Americani e gli Europei hanno provato con la voce della ragione e hanno fallito. Ormai devono rivolgersi ad Israele con il linguaggio che capisce meglio ( e non è l’ebraico).
Se una comunità internazionale esiste, lo faccia sapere in fretta. Perché al momento è chiaro che non c’è più alcun intervento internazionale in Israele.
Gli Americani hanno fatto i bagagli, gli Europei hanno rinunciato, gli Israeliani se ne rallegrano e i Palestinesi sono disperati.
Ogni tanto, un papa o un ministro degli esteri viene a fare un giretto (quello della Norvegia era qui la settimana scorsa), pronuncia a fior di labbra qualche parola, per la pace, contro il terrorismo e le colonie, poi com’era venuto scompare. Al termine del cammino il re è stato rimpiazzato da un clown (vedi Shakespeare). Lasciano il conflitto ai sospiri dei Palestinesi e l’occupazione nelle mani di Israele, di cui ci si può fidare perché la faccia rendere con mano ancor più salda.
Questo ritiro dell’umanità è inaccettabile: la comunità internazionale non ha il diritto di lasciare le cose come stanno, anche se questo è il desiderio più ardente di Israele.
La situazione attuale non è accettabile nel 21° secolo. Effettivamente c’è di che stancarsi se si tratta di tracciare sempre lo stesso solco e di lanciare le stesse battute di scherno ad un sordo. Lo scacco americano mostra che è ora di adottare un altro metodo, mai tentato finora. Il messaggio, e il modo di farlo capire, devono cambiare. Il messaggio deve riguardare i diritti civili e per farlo capire si deve ricorrere alle sanzioni.
Fino ad oggi si è utilizzata la piaggeria nei riguardi di Israele, offrendogli una carota dopo l’altra per tentare di fargli piacere.
Questo si è rivelato un fragoroso scacco. Questo non ha fatto altro che incitare Israele a proseguire la sua politica di espropriazione. Anche il messaggio ha fallito: la soluzione a due Stati è divenuta fantomatica. Il mondo ha tentato di ridarle vita artificialmente. Le proposte si sono susseguite, stranamente simili, da un piano d’azione all’altro, dal Piano Rogers alle navette di John Kerry, e ciascuna è finita nella polvere dentro un cassetto. Israele ha sempre detto no, mentre solo i suoi pretesti e condizioni presentavano dei cambiamenti: la fine del terrorismo qui, il riconoscimento di uno Stato ebraico là.
E in questo frattempo il numero delle colonie in Cisgiordania è stato moltiplicato per 3 o per 4, mentre la brutalità dell’occupazione aumentava, al punto che dei soldati si mettono a sparare su manifestanti per semplice noia. Il mondo non può collaborare a questo. E’ inaccettabile, nel 21° secolo, che uno Stato, che pretende di far parte del mondo libero, privi un’altra nazione dei suoi diritti. E’ impensabile, decisamente impensabile, che milioni di Palestinesi continuino a vivere in queste condizioni. E’ impensabile che uno stato democratico possa continuare ad opprimerli in tal modo. Ed è impensabile che il mondo guardi tutto ciò e lasci fare.
La discussione sui due Stati adesso deve trasformarsi in una discussione sui diritti. Cari Israeliani, voi avete voluto l’occupazione e le colonie – ebbene, restate chiusi fuori – Restate a Yitzhar, chiudetevi nelle montagne e costruite a vostro piacere a Itamar. Ma voi avete l’obbligo di accordare tutti i loro diritti ai Palestinesi, esattamente gli stessi diritti di cui voi godete.
Parità di diritti per tutti; una persona, un voto – tale dovrebbe essere il messaggio della comunità internazionale. E a questo cosa potrebbe rispondere Israele? Che non può esserci parità di diritti perché gli Ebrei sono il popolo eletto? Che questo metterebbe a rischio la sicurezza? I pretesti potrebbero essere presto scartati, e la nuda verità splenderebbe in piena luce: su questa terra, solo gli Ebrei hanno dei diritti. Un’affermazione che non è il caso di prendere come oro colato.
Ma è anche il modo complessivo di rivolgersi ad Israele che deve essere cambiato. Finché non devono pagare il prezzo dell’occupazione e i cittadini non sono puniti, non hanno alcun motivo per mettervi fine e neanche per preoccuparsene. L’occupazione è profondamente ancorata in seno ad Israele. Nessuno ne è fuori, e la stragrande maggioranza della popolazione israeliana spera di continuare a trarne vantaggio. Perciò, solo delle sanzioni possono farci prendere coscienza della sua esistenza.
Sì,parlo di boicottaggio e sanzioni, che sono ampiamente preferibili ai bagni di sangue.
Questa è la verità, anche se amara. Gli Stati Uniti e l’Europa si sono prosternati abbastanza davanti ad Israele. E senza alcun risultato, purtroppo. D’ora innanzi il mondo deve adottare un altro linguaggio, che forse sarà compreso. Dopo tutto, Israele ha dimostrato più di una volta che il linguaggio della forza e delle sanzioni è il suo linguaggio preferito.
(Traduzione di Maria Chiara Tropea)
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