Il Parlamento croato ha passato la palla alla Corte Costituzionale che si dovrà ora esprimere sull’ammissibilità di un referendum sulla restrizione all’uso pubblico dell’alfabeto cirillico a Vukovar, città dove durante la guerra fratricida dei primi anni ’90 centinaia di migliaia di appartenenti alla comunità serba furono uccisi ed espulsi dalle loro case e dai loro territori e costretti a rifugiarsi in Serbia e Bosnia, dove per lo più sono rimasti ancora oggi nell’impossibilità di tornare alle loro case.
A novembre un’associazione di gruppi nazionalisti croati, composti in maggioranza da veterani di guerra, ha raccolto 526 mila firme per indire un referendum che mira portare ad almeno il 50% (contro il 33% previsto dalla legge attualmente in vigore) la soglia della popolazione minoritaria che vive in un comune affinché abbia il diritto al bilinguismo e quindi all’utilizzo della propria lingua a livello ufficiale e scolastico.
Il censimento del 2011 ha mostrato che a Vukovar, nonostante la pulizia etnica che caratterizzò gli ultimi mesi della guerra degli anni ’90, ora il 34% della popolazione è composta da serbi (rispetto al 4% dei 4,3 milioni di abitanti del paese), cifra che ha fatto recentemente scattare la clausola sul diritto all’uso del cirillico nella comunicazione pubblica, ma anche una serie di proteste organizzate dalle organizzazioni nazionaliste e di estrema destra che chiedono che la città debba essere esonerata da questa legge. Secondo i promotori del referendum il cirillico serbo rappresenta simbolicamente ”’coloro che hanno aggredito e distrutto la città nel 1991, uccidendo migliaia di persone”.
Secondo la maggioranza parlamentare, composta da partiti di centro-sinistra, il quesito referendario proposto è però in aperta violazione della Costituzione della Croazia, del Trattato di adesione all’Ue e altri trattati internazionali che regolano i diritti delle minoranze etniche. Inoltre, se la legge sulla tutela delle minoranze fosse veramente emendata nel senso richiesto dai promotori del referendum, intaccherebbe i diritti di tutte le minoranze – compresa quella italiana – su tutto il territorio del Paese, e non solo quella serba a Vukovar.
Il governo si è espresso quindi contro il referendum, definendolo incivile e in violazione degli obblighi internazionali della Croazia, ma ha deciso di scaricare la patata bollente sulla Corte costituzionale.
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