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Ferguson. Il poliziotto killer ha una storia da razzista

Darren Wilson, il poliziotto che ha ucciso il ragazzo nero Michael Brown, scatenando una sana reazione popolare contro il razzismo esplicito e i metodi criminali della polizia, ha una lunga storia di ordinario razzismo “nell’esercizio della sua professione”, peraltro molto pericolosa per chi gli capitava a tiro.

Era infatti già stato “licenziato” da un altro distretto di polizia, sempre nel Missouri (a Jennings), perché giudicato “fautore di scontri tra agenti di polizia bianchi e popolazione residente”, soprattutto afroamericana.

Due episodi, in particolare, lo avevano seganalato come elemento provocatore e incapace di distinguere le proprie “convinzioni” razziste/machiste dalle funzioni proprie di un “agente della sicurezza”. In entrambi i casi, infatti, si era scatenato contro donne di colore. Nel primo episodio, aveva inseguito una donna alla guida della sua macchina insieme al figlio piccolo, sparandole contro, fortunatamente senza colpirla. Nel secondo caso, aveva invece pestato un’altra donna che aveva chiamato la polizia per denunciare la distruzione del suo furgone.

Ma tutto il distretto di polizia di Jennings era fuori controllo, tanto che le autorità locali furono costrette a scioglierlo licenziando tutti i poliziotti e ricostituendolo da capo. I casi dicorruzione, infatti, avevano superato tutti i livelli di guardia; persino in un paese fortemente “tollerante” con gli agenti di polizia.

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