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Robot finanziari, la catastrofe in automatico

Il 19 ottobre 1987, a Wall Street, l’indice Dow Jones tracollò in modo spaventoso, perdendo in una sola seduta quasi il 23% del valore. Fu il black monday, uno dei tanti giorni black della storia delle borse.

La causa del crollo istantaneo fu immediatamente trovata: per non perdere neanche una frazione di secondo rispetto ai concorrenti, tutte le società di brokeraggio operanti a New York si erano dotate di sistemi automatici di vendita dei titoli azionari, che scattavano quando i valori raggiungevano determinate soglie stabilite in anticipo. Naturalmente, questi automatismi furono in parte abbandonati, in parte drasticamente corretti, in ogni caso ricondotti a una decisione umana. Fallibile, certo, ma non così totalmente cretina da andare in automatico.

Ora ci risiamo, ci dice IlSole24Ore, completamente dimentico di quell’esperienza e come sempre entusiasta per ogni innovazione finaziaria.

Stavolta però il campo di applicazione della robotica finanziaria è assai meno decisivo. Le piattaforme automatiche che stanno prendendo piede sono specializzate nella “consulenza” alla piccola clientela, contando sull’effetto richiamo di costi di gestione inferiori (per forza…). In pratica, vanno a sostituire sia i consulenti finanziari in carne e ossa (licenziamenti massicci in vista, cari miei…), sia le innumerevoli piattaforme del trading online fai-da-te (“come guadaganre 500 euro al giorno da casa!”, ecc).

La spiegazione tecnica è chiara e semplice, quella relativa a chi ci guadagna assai più nascosta. Avere un “profilo di investimento” automatizzato, infatti, comporta per il singolo (piccolo) investitore, che usa i suoi pochi risparmi sognando una botta di fortuna finanziaria, la perdita assoluta di controllo. L’automatizzazione delle scelte fa sì che quando i mercati vanno bene ci siano dei (modesti) guadagni, mentre quando crollano più o meno improvvisamente e per più o meno tempo, le perdite sono totalizzanti.

Detta con il gergo della Borsa: è un altro modo, più semplice ed efficiente, di “tosare il parco buoi”. Ovvero di espropriare chi è fuori dal circuito della finanza ma gli porta i propri soldini.

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È guerra tra robot e umani per la consulenza finanziaria

di Enrico Marro

Sembrano fatti apposta per i “millennials”, i giovani tecnologici che vivono in una dimensione di relazioni digitali. Si chiamano “robo-advisors” e sono una delle grandi rivoluzioni della gestione finanziaria, in particolare per alcuni segmenti di clientela. Alla fine del 2014, stando a una recentissima indagine (dal titolo Robo-Advisor vs Human-Advisor) promossa da PwC e Professione Finanza, i robot gestivano 19 miliardi di dollari, con un’impressionante crescita del 65% delle masse in appena nove mesi.

I grandi venture capitalist americani finanziano generosamente le nuove piattaforme e il fenomeno non è sfuggito anche ai nomi blasonati dell’asset management. Schroders ha per esempio acquistato quote di una di queste piattaforme, Nutmeg, mentre il big americano dell’investimento online Charles Schwab ha lanciato gli “Schwab Intelligent Portfolios”, con un taglio minimo di 5mila dollari. E persino Fidelity, colosso mondiale del risparmio gestito, ha stipulato un accordo con Betterment Institutional e LearnVest, due delle società protagoniste della rivoluzione robotica.

Chi è il robo-advisor e come lavora 
E’ una piattaforma online che, sulla base di algoritmi di risk management e asset allocation, offre ai risparmiatori soluzioni di investimento più o meno personalizzate, a fronte di una parcella definita e “low cost”.
Il robot classifica il cliente in base al suo profilo di rischio e va ad identificare la combinazione rischio-rendimento che meglio gli si adatta. E’ una sorta di consulente finanziario virtuale che, sfruttando la tecnologia e utilizzando principalmente Etf a basso costo, offre servizi in modo efficiente e a un prezzo competitivo, puntando sulla semplicità e sulla qualità dell’esperienza online per il consumatore. 
Si prevede che questo nuovo modello di business ad alta trasparenza porterà alla riduzione delle commissioni dei normali gestori patrimoniali (un po’ come è avvenuto per le compagnie aeree tradizionali con l’avvento dei voli low cost).

Il boom delle macchine negli Stati Uniti. Con Apple e Facebook che… 
Negli Stati Uniti, società come WealthFront e Betterment gestiscono circa un miliardo di dollari, ma più in generale l’industria del FinTech (financial technologies) è oggetto di uno sviluppo straordinario, grazie anche alla generosità del venture capital. Nel 2014, sono stati investiti nel mondo qualcosa come 485 miliardi di euro per l’innovazione tecnologica in finanza (dati Gartner). Allargando lo sguardo, non va dimenticato per esempio il boom del mobile-pay, con Apple Pay, LoopPay di Samsung e TrasferWise, piattaforma per il trasferimento di denaro peer-to-peer valutata circa un miliardo di dollari. E chissà che un domani Apple e Facebook, o Google, non entrino a loro volta nel business dei “consulenti robot”. Come ha già fatto, per esempio, AliBaba.

La situazione in Europa e in Italia 
Anche in Europa stanno consolidandosi i “robo-advisors”: ci sono per esempio Nutmeg in Gran Bretagna, T-Advisor in Spagna e Moneypark in Svizzera. Nel nostro Paese il maggior player è Moneyfarm, finanziato da alcuni tra i principali venture capital italiani (come Annapurna Venture e Jupiter Ventures).
Per il momento tuttavia i consulenti finanziari tradizionali, quelli in carne e ossa, non si preoccupano troppo dei robot. Secondo l’indagine Robo-Advisor vs Human-Advisor (condotta su un campione di oltre mille professionisti su un totale di più di 23mila iscritti ad Assoreti), il 96% degli intervistati ritiene che meno di un decimo dei propri clienti utilizzi già una piattaforma di robo-advisory, mentre il 63% del campione è convinto che una macchina non possa performare meglio di un consulente in termini di rendimento. Quattro professionisti italiani su dieci ritengono che i robot possano sottrarre loro solo quote marginali di clientela.

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