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La Nato si prepara ad agire

La Nato non è mai stata ferma, è noto. Specie da quando è crollata l’Unione Sovietica il suo statuto teoricamente “difensivo” si è velocemente trasformato, diventando il centro motore delle alleanze militari “ad hoc” costruite nel tempo contro quelli che gli Stati Uniti si sceglievano come nemico momentaneo.

Ma i venti che spirano sul pianeta oggi sembrano assai più intensi. E i nemici che ci si appresta a combatte hanno una consistenza diversa dai regimi – principalmente arabi, ma senza dimenticare la Jugoslavia – fin qui attaccati e frammentati dagli attacchi militari “asimmetrici”.

E’ questo l’annuncio che, tra le righe, ha fatto il cosiddetto segretario generale uscente della Nato – Anders Fogh Rasmussen, danese, che fa quasi ridere a vederlo definire “capo dell’alleanza” – in vista del vertice di giovedì e venerdì prossimi, in Galles.

Un vertice che “si terrà in un mondo cambiato” e sarà un “summit cruciale nella storia dell’Alleanza”. Il quadro che ha descritto in modo molto sintetico è noto, ma le definizioni che ha dato sono interessanti: “questo è un momento di crisi molteplici su diversi fronti: a est la Russia interviene apertamente in Ucraina e a sud vediamo instabilità crescente, con stati fragili, conflitti settari, ascesa dell’estremismo”.

”Dalla fine della guerra fredda abbiamo cercato di creare una partnership fra la Nato e la Russia. Oggi constatiamo che la Russia non considera la Nato un partner ma un avversario. Ci adatteremo a questa situazione”. 

”Il piano di intervento rapido (Readiness Action Plan) intende garantire che abbiamo le forze giuste e l’attrezzatura giusta al posto giusto, al momento giusto. Non perché la Nato voglia attaccare qualcuno, ma perchè i pericoli e le minacce sono più presenti e più visibile. E faremo ciò che serve per difendere i nostri alleati”. Perché non ci fossero equivoci sulla direzione d’attacco, ha aggiunto che la Nato “sarà più visibile a est”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il neonominato “presidente del consiglio europeo”, il polacco Donald Tusk, i leader penseranno insieme a una ”nuova politica per fronteggiare la minaccia della guerra, ormai non solo nell’est di Ucraina”. E ha cominciato anche a lui a rispettare il patto stretto con Usa e Gran Bretagna, sottostante alla sua nomina, paragonando la situazione attuale a quella dell’agosto 1939, alla vigilia dell’esplosione della Seconda guerra mondiale.

Per un capo militare l’amnesia dovrebbe essere una malattia grave. Chi è che ha reso “fragili” gli stati a sud del Mediterraneo e nel Medio Oriente? La Nato, o alcune delle sue principali componenti. Ora quella “instabilità locale” che sembrava l’uovo di colombo per chi vuole “ordinare il mondo” si rivela un problema. L’altro nemico è storico, anche se molto meno forte di prima: la Russia non vale davvero l’Unione Sovietica. Ma la sua dotazione militare – sia convenzionale che nucleare – non è davvero paragonabile a quella delle satrapie mediorientali fin qui buttate nella polvere.

Detto in altro modo: se per affrontare l’Isis e il “terrorismo fondamentalista” (ammesso e non concesso che la Nato voglia davvero farlo, visti i precedenti) l’alleanza dovrebbe muoversi nel solo ordinario della guerra asimmetrica (assoluta sproporzione di mezzi tecnologici e potenza di fuoco), nel caso della Russia si avvicina pericolosamente l’antico limite della “guerra simmetrica”, ovvero tra potenze di fuoco sostanzialmente (quanto agli effetti finali) equiparabilli.

Qual è quel limite? Ma la vecchia cara Mad (Mutual assured destruction, ovvero “mutua distruzione assicurata”), chi altri? 

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