Nuova ondata di proteste contro il governo liberal-islamista ieri in diverse città della Turchia dopo che la Corte penale di Ankara ha condannato a soli sette anni e nove mesi di carcere il poliziotto Ahmet Sahbaz giudicato colpevole d’aver ucciso un manifestante durante i moti popolari del giugno 2013. Il ventiseienne Ethem Sarisuluk, raggiunto alla testa da un proiettile nel centro di Ankara il primo giugno di quell’anno, morì dopo due settimane di agonia in ospedale.
La lettura della sentenza è stata accolta da familiari e amici presenti in aula con un lancio di bottiglie e slogan come “Stato assassino” mentre all’esterno del tribunale una piccola folla di attivisti gridavano “siamo tutti Ethem” e “la rabbia delle madri sommergerà gli assassini”. Inizialmente la corte aveva decretato l’ergastolo per Sahbaz, scatenando la gioia dei familiari, ma subito dopo la doccia gelata: la condanna a vita è stata immediatamente ridotta a neanche otto anni di reclusione in virtù delle ‘circostanze attenuanti’ riconosciute dai giudici.
“Il sistema giudiziario ha incoraggiato l’assassino sostenendo così che è legittimo uccidere le persone in strada” ha spiegato Mustafa, il fratello della vittima, riferendosi al fatto che secondo i magistrati Sahbaz avrebbe sparato perché ‘provocato dai manifestanti’. Il fratello del giovane ucciso ha lamentato il fatto che il poliziotto sarà libero già tra cinque anni grazie a sconti di pena e altre facilitazioni.
Anche l’accusa ha criticato aspramente la sentenza giudicandola troppo lieve rispetto alle responsabilità dell’agente, che durante degli scontri di piazza estrasse la pistola, la puntò contro un gruppo di manifestanti e fece fuoco da distanza ravvicinata, nonostante i contestatori fossero disarmati e non ci fosse alcun pericolo per l’incolumità del poliziotto. Ma il giudice ha dato ragione alla versione dell’uomo in divisa che nel corso della sua deposizione durante il processo ha affermato di aver sparato perché “aggredito dai manifestanti” e di aver esploso due colpi in aria prima di puntare l’arma verso i manifestanti. In realtà le riprese di quanto avvenne mostrano che l’agente sparò un solo colpo in aria e subito dopo un altro contro il giovane manifestante.
La famiglia di Ethem Sarisuluk ha annunciato che farà ricorso in appello ma le possibilità che la condanna per l’agente venga aumentata sono praticamente nulle e anzi la condanna, seppur lieve, è stata finora l’unica a carico di esponenti delle forze di sicurezza responsabili di numerosi omicidi di manifestanti e passanti nel corso dell’estate del 2013 quando il governo scatenò una repressione selvaggia nel tentativo di bloccare le proteste popolari più massicce e determinate che la Turchia abbia visto negli ultimi decenni.
Un movimento iniziato in reazione alla brutalità della polizia contro i manifestanti pacifici che si opponevano alla distruzione del Gezi Park a Istanbul e che in pochi giorni assunse una dimensione globale di opposizione frontale alle politiche di Erdogan.
A scendere in piazza furono milioni di turchi di diverse fedi politiche che contestavano un modello di sviluppo affaristico e distruttivo basato sulla cementificazione e la speculazione edilizia, la stretta autoritaria, l’islamizzazione forzata della società, il sostegno ai ribelli siriani.
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