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Quando la divisa uccide la musica: la morte di Dj Godzi

Michele Noschese, 35 anni, noto come DJ Godzi, era un artista partenopeo affermato nel panorama della musica elettronica e tech-house. Laureato in Economia e commercio, aveva anche un passato come sportivo e calciatore nella Primavera del Napoli.

Viveva a Ibiza, Michele, da dodici anni, dove aveva costruito una carriera di successo esibendosi in club prestigiosi come l’Eden e partecipando a tournée internazionali.

È morto, Michele, a Ibiza, nella notte tra venerdì e sabato scorsi, nella sua casa a Roca Lisa. Le circostanze della morte sono avvolte nel mistero, ma la famiglia denuncia un possibile omicidio.

Secondo il padre, Giuseppe Noschese – noto chirurgo napoletano – Michele stava facendo una festa in casa con alcuni amici.

I vicini, ad una certa ora, avrebbero chiamato la Guardia Civil spagnola per la musica troppo alta e il chiasso che proveniva dall’abitazione. Cinque agenti sarebbero quindi giunti sul luogo, facendo uscire tutti tranne Michele.

Due ragazzi amici del Dj sarebbero però riusciti a nascondersi e avrebbero assistito alla scena, pronti a testimoniare che Michele sia stato legato e picchiato violentemente dagli agenti.

Le lesioni riportate (pugni al volto e all’occipite) avrebbero causato una emorragia cerebrale rivelatasi mortale, come rileva anche il papà.

Al punto che, quando chiamate sono intervenute due ambulanze, i sanitari hanno potuto solo constatare il decesso.

«Lo hanno massacrato di botte, mio figlio è uscito morto di casa. I due presenti hanno riferito che lo hanno bloccato mani e piedi, preso a pugni in faccia e all’occipite. So bene cosa significano queste lesioni: emorragia cerebrale, mortale» dice Giuseppe Noschese. Ex primario tra l’altro del Trauma Center del Cardarelli. Uno, dunque, che sa bene di cosa parla.

Per poi proseguire: «Mio figlio era in casa, in salone con sette-otto amici, c’era una festicciola e da padre e medico non escludo ci sia stato qualche drink di troppo o anche qualcosa di più (droga ndr). Possibile che abbiano potuto dar fastidio, ma da qui a ucciderlo. Provava tanto amore per questa isola maledetta che si era presa mio figlio».

Intanto, l’ autopsia eseguita ieri e giudicata dal padre di Michele «frettolosa perché fatta senza il perito di parte», avrebbe rivelato proprio tracce di sostanze stupefacenti; mentre non avrebbe evidenziato lesioni riconducibili a percosse.

Tuttavia, come spiega Rosanna Alvaro, l’avvocata che assiste la famiglia Noschese, si potrebbero avere certezze «solo se fossero state eseguite una Tac o una risonanza magnetica. Cosa che non è avvenuta. Valutiamo se chiedere l’esecuzione di una nuova autopsia e altri accertamenti».

Accertamenti ulteriori che, nelle ultime ore, la magistratura spagnola sembra decisa ad autorizzare.

Peraltro, come ovviamente c’era da aspettarsi, sono cominciati a venire fuori testimoni che pretendono l’anonimato, insinuando dubbi sullo stato di lucidità e di agitazione di Michele, al punto da adombrare addirittura un atteggiamento violento nei confronti di una ragazza e di un anziano vicino.

La Guardia Civil parla anche di un coltello da cucina impugnato dal Dj.

«Saranno state le otto di mattina e in molti, forse venti o trenta persone, eravamo già in giardino, richiamati da urla e trambusto. Abbiamo visto Michele, sul balcone di casa, inseguire una ragazza. Lei scappava, ha scavalcato un divisorio, ha raggiunto un altro balcone, quello dell’appartamento in cui vive l’anziano Xavier. Michele le era sempre dietro lei, lui anche. Poteva essere pericoloso per entrambi. Qualcuno di noi ha gridato: “Michele qué estás haciendo?”, che stai facendo… È stato a quel punto che è comparso Xavier. Michele lo ha afferrato alle spalle. Xavier allora ci ha gridato: “Chiamate la polizia!”. Ma Michele a sua volta ha urlato queste parole: “La chiamo io la polizia!”».

È il racconto raccolto dal Corsera e che viene da una spagnola sui quarant’anni che, secondo il giornale della borghesia italiana, parlerebbe benissimo italiano.

Questi dunque i fatti, per come si stanno delineando.

Altra cosa però sono le considerazioni imprescindibili che vanno assolutamente fatte di fronte all’ennesima morte sopravvenuta, sarà caso, dopo l’intervento dei corpi di Polizia.

I cui metodi violenti, e inclini a configurarsi come espliciti abusi di potere improntati al sadismo, sono simili in Italia, come in Spagna. Nella Francia dell’illuminismo e del diritto liberale come in Germania. Le immagini della repressione dei manifestanti a favore della Palestina provenienti in questi giorni da quel paese sono di una ferocia inaudita.

Ma anche altrove la repressione poliziesca non è da meno: in quest’Europa che invoca ormai “democrazia a geometria variabile“. Solitamente quando si parla della Russia…

E sono considerazioni amare che devono necessariamente far riflettere sulla implosione dei sistemi democratici in atto in tutto l’Occidente capitalistico.

L’uccisione di DJ Godzi pone infatti con forza una questione che da decenni attraversa il dibattito critico sulle istituzioni. Quale ruolo reale esercitano le forze di polizia nelle democrazie contemporanee?

La loro funzione è quella idealizzata, spesso narrata dai media, di “servire e proteggere” il cittadino? Oppure esse incarnano l’esatto contrario, oggi più che mai, ovvero l’apparato coercitivo di uno Stato che esercita controllo sociale attraverso la minaccia, l’intimidazione e, in casi estremi, la violenza letale?

La risposta per noi appare abbastanza scontata, di fronte all’apparato repressivo allestito in questi anni dalle democrazie euroatlantiche.

L’episodio di Ibiza non è quindi un’eccezione, ma un sintomo, proprio perché verificatosi in una situazione “apolitica”. Non siamo di fronte a una devianza individuale di un uomo in divisa, bensì a un comportamento che trova terreno fertile in una cultura di impunità e forza incontrollata.

È una dinamica che, pur differenziandosi nei dettagli, si ripete sistematicamente. Un cittadino in presunto stato di alterazione, un intervento delle forze dell’ordine, l’uso sproporzionato della forza, il silenzio delle istituzioni. E infine, la collaudata strategia della colpevolizzazione della vittima.

Come Cucchi, Uva, Aldrovandi, Ferulli, Budroni. O come i napoletani Ugo Russo, Luigi Caiafa, Davide Bifolco. Tutti morti mentre erano nelle mani dello Stato italiano. Tutti morti di violenza sbirresca.

Dal punto di vista teorico si tratta di ciò che Michel Foucault descriveva come il passaggio dallo “Stato di diritto” allo “Stato di controllo”. Uno spostamento del potere dalla Legge alla Sorveglianza, dalla Norma alla Punizione immediata.

In tale quadro, la Polizia assume un ruolo para-giudiziario ma di fatto criminale, operando fuori da qualunque trasparenza procedurale e spesso senza rendere conto a nessuno.

Il caso di Michele Noschese evidenzia pertanto una doppia frattura. La prima è tra legalità e legittimità: un’azione può essere formalmente legale – come l’irruzione nella sua abitazione “per sospetto reato” – ma sostanzialmente illegittima, se conduce alla morte di un cittadino assolutamente disarmato.

La seconda frattura è tra narrativa istituzionale e realtà vissuta. Mentre le istituzioni si trincerano dietro linguaggi prudenti e promesse di indagini accurate che verranno dimenticate non appena i media passeranno ad altro, la realtà materiale è quella di un corpo massacrato, un giovane artista ucciso nella propria casa per una festa ritenuta “eccessiva”.

L’apparato poliziesco, in questa cornice, si rivela non come semplice esecutore della legge, ma come braccio armato di una normalizzazione del dissenso e dell’anomalia.

Come sempre, chi vive fuori dai codici imposti – sia esso un migrante, un manifestante, un artista, un clochard – viene percepito come una minaccia, cui si può rispondere anche, o prevalentemente, con la violenza fisica.

La figura del soggetto deviante è così costruita retroattivamente da media e istituzioni, per legittimare l’abuso subito. E soprattutto affinché l’errore – ma sarebbe più logico parlare di crimine – in divisa non comporti quasi mai la responsabilità penale di chi lo commette

In molti contesti europei, compreso quello spagnolo e italiano, la cultura dell’impunità poliziesca è difatti consolidata e sistemica.

E benché vada sottolineato come in Spagna, in questo preciso momento, la Guardia Civil non sia proprio in sintonia con il Governo di centrosinistra -presieduto dal Primo Ministro socialista Pedro Sánchez – la continuità con fascismo e franchismo dei corpi di Polizia di questi due paesi è purtroppo eclatante e inquietante.

L’invocazione costante all’autorità e alla sicurezza serve non tanto a tutelare i cittadini, quanto a costruire una gerarchia sociale in cui le fasce meno integrate (culturalmente, economicamente, ideologicamente) sono costantemente sotto tiro.

La Polizia in questo senso non è dunque “neutrale”. Diventa un evidente attore politico, schierato anche arbitrariamente a difesa dell’ordine costituito e contro qualunque deviazione da esso.

La morte di Michele Noschese non deve essere trattata pertanto come una tragica fatalità, ma come un vero e proprio atto politico.

Essa è il risultato di una concezione della sicurezza pubblica che pone la forza al centro e al di sopra dei cittadini. Legittima l’aggressione in nome dell’autorità e criminalizza qualunque forma di espressione eccentrica, divergente o autonoma.

In queste condizioni si ritiene perciò necessario un ripensamento radicale dei meccanismi democratici di controllo sociale. Che fossero quantomeno non più fondati sulla repressione, ma sulla responsabilità e la trasparenza.

Chi gestisce il monopolio della violenza non può infatti essere lasciato senza controllo. E chi muore, come Michele Noschese, per mano di quello Stato che lo dovrebbe proteggere, ci impone di alzare la voce.

E noi allora la voce la alziamo. Non solo in nome della memoria ma della possibilità di un futuro in cui la libertà non venga più calpestata da uno stivale in divisa.

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2 Commenti


  • Sergio Binazzi

    io credo che nel nostro antidemocratico uccidente i corpi di polizia vari ( è l’unico posto dove tengono all’occupazione ) sia stata sempre usata per reprimere i cittadini e non per proteggerli, come pensano in tanti purtroppo, e questo fenomeno si sta sempre più intensificando non solo nei confronti di chi si oppone giustamente a questo stato di cose ma anche in casi come questo e tanti altri. intolleranza e repressione sono di marchio fascista. è il sistema capitalista che usa questi mezzi e hanno la sfrontatezza di chiamarla democrazia, siamo nati dalla parte sbagliata del mondo io non mi identifico in uno schifo tale.


  • antonio D.

    OCCIDENTE uguale a ; UCCIDENTE!

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