Doveva essere un astro nascente della destra spagnola, “ammanicato” com’era con gli ambienti estremisti cattolici e le lobby economiche della sanità e dell’istruzione private espressione degli interessi del Vaticano. Ma la carriera del ministro Alberto Ruiz-Gallardón sembra per ora terminare bruscamente.
Era stato lui, come ministro della Giustizia del governo Rajoy, a promuovere un progetto di legge contro l’aborto che aveva scatenato la mobilitazione di organizzazioni politiche e sociali, portando decine di migliaia di donne a mobilitarsi contro la ventata oscurantista targata Partido Popular.
Fino ad un certo punto l’esecutivo di cui faceva parte ha sostenuto a spada tratta la sua controriforma che, nei fatti, avrebbe impedito di esercitare il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, se non in pochissimi casi e comunque previo giudizio di una “commissione medica”. Una legge così restrittiva in materia non si vedeva dai tempi della dittatura catto-fascista di Francisco Franco. La sua “Legge organica per la protezione della vita del concepito e dei diritti della donna incinta” aveva avuto l’ok del Consiglio dei Ministri, anche se in molti avevano notato la stranezza di una legge in materia di salute pubblica promossa da un ministro della Giustizia invece che dalla titolare della Sanità.
Rispetto alla normativa in vigore, promossa nel 2010, che permetteva l’aborto senza restrizioni entro la quattordicesima settimana di gestazione, il nuovo provvedimento limitava la possibilità di interrompere la gravidanza a soli due casi: quando la donna è rimasta incinta in seguito ad uno stupro (ma solo entro la dodicesima settimana di gestazione); oppure quando è a rischio la sua salute. Neanche la presenza di gravi malformazioni fetali era considerata sufficiente nel testo di Gallardòn per ricorrere all’aborto, se non nei casi in cui rappresentino una ‘pressione insopportabile’ per la madre e quando mettano a rischio la vita del nascituro. Il provvedimento prevedeva anche che l’ultima parola spettasse a due medici esterni alla struttura medica incaricata eventualmente di seguire la paziente e, come se non bastasse, riconosceva il diritto all’obiezione di coscienza generalizzato per medici e infermieri sia del settore sanitario pubblico che privato.
“E’ nostro diritto e nostro dovere difendere la vita dal concepimento alla morte e farci carico della difesa dei diritti umani” ha ripetuto fino allo sfinimento Gallardòn rispondendo alle fortissime critiche delle opposizioni parlamentari di centro e sinistra e anche alle denunce di alcune associazioni mediche e delle organizzazioni di donne che hanno organizzato manifestazioni, presidi, occupazioni di sedi politiche e sanitarie in tutto lo Stato Spagnolo.
Sembrava filare tutto liscio fin quando alcune consistenti crepe hanno cominciato ad aprirsi anche nel partito di governo, con alcuni esponenti locali e nazionali che hanno cominciato a pronunciarsi contro una delle leggi più restrittive in materia di aborto di tutto il continente europeo.
Alla fine le crepe sono diventate dei solchi incolmabili, e ormai da qualche settimana appariva chiara l’intenzione da parte del premier Mariano Rajoy di accantonare la ‘Legge Organica’ firmata da Gallardòn il cui esame parlamentare è stato nel frattempo rimandato diverse volte. Finché martedì scorso lo stesso ministro della Giustizia ha dovuto annunciare che l’adozione della sua ‘creatura’ non era più all’ordine del giorno. “Colpa delle pretese di sovranità dei catalani” la fantasiosa e francamente poco credibile giustificazione addotta. Una sconfitta personale e politica senza appello per il borioso personaggio che ha quindi annunciato le sue dimissioni da Ministro, da membro della Direzione del PP e da deputato, mettendo così fine a 30 anni di carriera politica e creando non pochi problemi al già traballante governo di Mariano Rajoy.
E stavolta i catalani c’entrano, visto che Madrid potrebbe trovarsi senza un Ministro della Giustizia proprio quando il governo regionale catalano è in procinto di indire un referendum popolare – che il governo spagnolo e la sua Corte Costituzionale hanno già bollato come illegale – volto a sancire l’indipendenza di Barcellona dallo Stato Spagnolo.
Le organizzazioni più estremiste dell’arcipelago antiabortista – Derecho a Vivir in primo luogo – hanno prima manifestato la propria solidarietà nei confronti di Gallardòn e poi hanno accusato di tradimento Rajoy e i suoi collaboratori. Nei prossimi giorni gli antiabortisti e le organizzazioni di estrema destra – alcune delle quali nate da recenti scissioni del Partido Popular – hanno già annunciato che scenderanno in piazza contro il governo e che manifesteranno anche davanti alle sedi del partito di Mariano Rajoy, proprio quando il premier sarà impegnato a respingere l’assalto indipendentista della società catalana e ad evitare un tracollo della destra alle prossime elezioni amministrative. Ma i sondaggi già prevedono una vera e propria debacle del Partido Popular.
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