Lo spazio aereo turco e le sue basi aeree non sono state utilizzate per gli attacchi militari franco-statunitensi contro gli avamposti e le raffinerie dell’Isis in Siria. Ci ha tenuto a dichiararlo una fonte del governo turco. “Il nostro spazio aereo a la nostra base non sono stati utilizzati”, ha precisato in forma anonima il rappresentante di Ankara smentendo in maniera indiretta quanto aveva detto l’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo (Osdh) secondo il quale “degli aerei venuti dalla Turchia” avevano realizzato gli attacchi.
Nei giorni scorsi Ankara ha chiuso la porta in faccia a Washington rifiutandosi non solo di partecipare ai raid contro i jihadisti, ma ha irritato Stati Uniti e soci anche rifiutando l’uso delle proprie basi per operazioni di tipo ‘umanitario’. Dopo aver accolto circa 100 mila profughi curdi e siriani sfuggiti dall’ultima avanzata di terra delle milizie fondamentaliste sunnite, Ankara ha chiuso i valichi di frontiera e ha mandato poliziotti e militari a disperdere con la forza i manifestanti curdi e gli sfollati che protestavano. D’altronde è noto, nonostante le continue smentite dell’Akp e del suo leader Erdogan, lo stretto legame tra l’establishment turco e le bande jihadiste inquadrate nell’Isis e in altre organizzazioni del fondamentalismo sunnita, che sono state finanziate, sostenute logisticamente e coperte allo scopo di indebolire il governo siriano di Bashar al Assad e allungare le mani di Ankara sulla Siria. Un legame confermato nei giorni scorsi quando il governo turco ha ottenuto dalle milizie di Al Baghdadi la liberazione di decine di ostaggi turchi in cambio della liberazione di alcuni combattenti islamisti che, feriti durante i combattimenti con le milizie curde o l’esercito siriano, si erano rifugiati in territorio turco e si erano fatti curare senza problemi negli ospedali delle regioni di confine con Damasco.
Un rapporto privilegiato tra Ankara e Isis che sta facendo infuriare la guerriglia curda, da tempo impegnata in un difficile cessate il fuoco con l’esercito turco che a questo punto potrebbe saltare. Recentemente il movimento di liberazione dei curdi di Turchia ha accusato il governo dell’Akp di aver avviato una nuova guerra contro i curdi sostenendo di fatto l’avanzata nel nord della Siria dei jihadisti dell’Isis. Il consiglio direttivo del Kck – l’Unione delle comunità del Kurdistan, una sorta di fronte urbano del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) – ha denunciato che “lo stato di non conflitto” è stato nei fatti interrotto dalle iniziative del Partito per la giustizia e lo sviluppo al governo. L’organizzazione curda ha quindi deciso “di intensificare la lotta in ogni campo e con ogni mezzo per rispondere alla guerra avviata dall’Akp contro il nostro popolo”. La nota accusa il governo dell’Akp di approfittare degli sforzi di pace del leader del PKK in carcere Abdullah Ocalan, affermando che la tregua è ora “priva di senso”. La tregua è in vigore da marzo 2013, seppur con varie interruzioni e violazioni, potrebbe quindi saltare presto. “Di fronte alla politice dell’Akp, il nostro consiglio esecutivo è stato incaricato di assumere qualunque iniziativa politica e militare per invalidare le politiche infauste e torbide contro il popolo curdo” si legge nella nota del KCK.
Già nei giorni scorsi Abdullah Ocalan aveva emesso un comunicato attraverso uno dei suoi legali esprimendo impazienza circa l’immobilismo dell’AKP nel processo di pace, accusando Ankara di essere più disponibile a negoziare con l’Isis che a trattare con i curdi.
Poi il capo militare del PKK Murat Karayilan, che guida la guerriglia dalla base sul monte Kandil nel nord dell’Iraq, è andato oltre affermando che “il processo di pace è finito”.
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