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Kobane resiste agli assalti dell’Isis

Non è certo grazie agli sporadici e poco più che simbolici raid aerei della “coalizione dei volenterosi” contro le postazioni jihadiste nel nord della Siria che la città curda di Kobane resiste ormai da tre settimane al massiccio assalto delle milizie dello Stato Islamico. 

L’Isis sta martellando Kobane con missili che hanno una gittata di 20 chilometri e carri armati, mentre i militanti del Pyd (Partito dell’Unità Democratica) inquadrati nelle Unità di Difesa del Popolo e affiancati dai guerriglieri del Pkk e da altre milizie popolari spesso prive di addestramento militare ma animate da una forte determinazione a difendere le loro case e le loro famiglie starebbero combattendo strenuamente, strada per strada, con vecchi kalashnikov e missili anti-carro.
E’ grazie a questa determinazione che nel corso della notte i combattenti curdi hanno respinto un nuovo attacco della milizie jihadiste contro Kobane. I miliziani fondamentalisti avrebbero cercato di stringere la città in una tenaglia, attaccando da est e da ovest, ma i curdi hanno respinto l’assalto e violenti combattimenti sono proseguiti per tutta la notte, per poi affievolirsi nella prima metà della giornata e ripartire oggi pomeriggio con il calare della sera.
Secondo i bollettini emanati dai comandi militari della resistenza curda, molti componenti delle bande jihadiste sarebbero rimasti uccisi durante la notte e la guerriglia avrebbe respinto un tentativo dell’Isis di attaccare la città con un camion-bomba.
Secondo alcune fonti oggi i miliziani jihadisti avrebbero issato la loro bandiera nera su una palazzina di quattro piani nella zona orientale di Kobane, ed almeno un altro vessillo dello Stato Islamico sarebbe comparso sulle colline della città. Inoltre una trentina di guerriglieri delle forze di autodifesa curde (Ypg) sarebbero morti a causa di n doppio attentato suicida con autobomba realizzato dagli islamisti oggi ad Al Hassaka, località a 220 km di distanza da Kobane, più a est. 

Ormai i jihadisti controllano gran parte del territorio attorno a Kobane e la circondano da tre lati, mentre il quarto è a ridosso del confine turco presidiato dall’esercito turco che, invece di intervenire a sostegno della resistenza curda, questa mattina ha per l’ennesima volta disperso con lacrimogeni e idranti alcune migliaia di profughi ammassati da un lato della frontiera e aspiranti combattenti accorsi dal Kurdistan turco per andare a lottare a fianco dei fratelli del Rojava ma impossibilitati a passare in territorio siriano a causa della blindatura ordinata da Ankara. E questo nonostante che ieri un colpo di mortaio sparato dai jihadisti abbia colpito una casa in territorio turco a pochi chilometri da Kobane, ferendo cinque persone, mentre due piccoli villaggi di confine sono stati evacuati formalmente per “precauzione”. A causa del blocco del confine, denunciano i curdi, un uomo ferito proveniente proprio da Kobane è morto dissanguato, non riuscendo a raggiungere un posto dove essere curato efficacemente. D’altronde ieri il presidente turco Erdogan ha chiarito che per lui e per il suo governo «I combattenti curdi sono uguali ai miliziani dell’Isis». 

Questo mentre il quotidiano britannico The Times ha rivelato che, in cambio della liberazione dei 49 cittadini turchi sequestrati a giugno dai combattenti fedeli ad Al Baghdadi nel consolato iracheno di Mosul, il regime liberal-islamista di Recep Tayyip Erdogan ha liberato ben 180 miliziani catturati nei mesi precedenti e consegnati alla Turchia da alcuni gruppi dell’opposizione islamista siriana in competizione con l’Isis. Il quotidiano britannico, che dichiara di aver visionato la lista dei nomi, afferma che tra di loro ci sono due britannici, tre francesi, due svedesi, due macedoni, uno svizzero e un belga.
Intanto tutta la stampa internazionale, con incredibile ritardo, ha scoperto l’eroismo dei combattenti curdi e in particolare delle sue donne, in prima fila nel tentativo di impedire che le orde jihadiste spazzino via le loro comunità e con esse un esperimento di convivenza democratica e multietnica instaurata finora nelle zone liberate del Rojava.
In particolare i media riportano con evidenza la vicenda di Arin Mirkin (nome di battaglia di Dilar Gencxemîs), una giovane madre di due figli comandante di un’unità femminile delle Ypg, che ieri si sarebbe fatta esplodere tra i miliziani dell’Isis alla periferia di Kobane per non finire ostaggio dei miliziani. Secondo quanto riportato da alcuni media avrebbe così distrutto un mezzo blindato e ucciso una ventina di fondamentalisti. Qualche giorno fa un’altra guerrigliera, la diciannovenne Ceylan Ozalp, avrebbe usato l’ultima cartuccia a disposizione per uccidersi una volta circondata, per evitare di essere catturata dai tagliagole di Al Baghdadi.

 

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