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Indipendenza: la borghesia catalana fa marcia indietro

Tutto come previsto, anche se i toni altisonanti e alcuni recenti atti amministrativi del capo del governo regionale di Barcellona, il liberal-conservatore Artur Mas, avevano suscitato qualche speranza in più nei sostenitori dell’indipendenza catalana.
Ma era scontato che il partito della borghesia regionalista Convergenza e Unione (Ciu), nonostante una recente evoluzione radicale delle sue posizioni in merito alla separazione da Madrid, non volesse e non potesse andare fino in fondo nel muro contro muro con il governo centrale spagnolo. Che nelle ultime settimane ha parlato chiaro ed ha fatto parlare le sue istituzioni con toni inequivocabili: la ‘consulta’ per l’indipendenza convocata da Mas il 9 novembre era illegale, hanno prima tuonato l’esecutivo e poi la Corte Costituzionale, e se il governo autonomo avesse insistito sarebbe andato incontro a rappresaglie non certo soltanto simboliche.

D’altronde la strategia del partito egemone della borghesia catalana è abbastanza cristallina: utilizzare la spinta indipendentista della società catalana per obbligare Madrid a concedere a Barcellona qualche grado di autonomia maggiore soprattutto sul versante economico e fiscale. Mas potrà così affermare di aver ottenuto qualche risultato nello scontro con Madrid senza spaventare i settori ‘pattisti’ e moderati che puntano sulla funzione di ‘ago della bilancia’ di Ciu e di Mas nella continua contrattazione con lo stato centrale comunque tendente a una maggiore autonomia. Come il Partito Nazionalista Basco un po’ più a nord, storicamente Convergenza e Unione rappresenta per i centralisti spagnoli la garanzia che la Catalogna non si separerà mai nonostante le dichiarazioni di fuoco dei suoi leader, mentre per la media e la piccola borghesia locali il partito è un utile strumento per rosicchiare a Madrid qualche competenza in più.
Ma negli ultimi tempi la mobilitazione straordinaria di milioni di catalani di diverso orientamento politico e ideologico e appartenenti a praticamente tutte le classi sociali, così come la nascita di nuovi organismi politici trasversali come l’Assemblea Nazionale Catalana, hanno dimostrato che il ‘giocattolo’ potrebbe essersi definitivamente rotto. In questo caso Artur Mas e il suo partito dovranno cambiare strategia e mettersi alla testa del processo “sovranista”, anche fino alle estrema conseguenze – l’indipendenza – per non lasciare campo libero alle ali più radicali e di sinistra dello schieramento politico catalano in netta ascesa in tempi di crisi economica. In maniera assai pragmatica, potremmo dire che Mas è indipendentista solo nella misura in cui l’indipendenza soddisfa gli interessi della borghesia catalana, e che quindi non lo è se da questo processo la classe che rappresenta non ha da guadagnarci.

E così, di fronte ad un muro contro muro che mette a rischio la sua posizione egemonica nel campo catalanista, lunedì Mas ha rotto il fronte delle forze che difendevano la celebrazione del referendum popolare già convocato per il prossimo 9 novembre. Al suo posto, ha comunque promesso il President, si terrà una consultazione autogestita, naturalmente di carattere esclusivamente simbolico e rappresentativo, per dimostrare a Madrid quant’è forte il desiderio di autodeterminazione del popolo catalano.

«Lo Stato spagnolo resta contrario» al referendum, si è giustificato Artur Mas che ha chiarito di non voler in alcun modo violare la legge. «La gente potrà comunque depositare il proprio voto alle urne e l’effetto sarà esattamente lo stesso», ha aggiunto il leader di Ciu. Ma di fatto quello confermato per il 9 novembre sarà una specie di supersondaggio alla quale potranno partecipare tutti i cittadini residenti nel Principato e con più di 16 anni (ma senza registri elettorali ufficiali) realizzato grazie alla collaborazione di 20 mila volontari. Una grande espressione di partecipazione popolare che però dovrebbe servire più a Mas per continuare a stare a galla nonostante la rinuncia al referendum vero che a imporre allo Stato Spagnolo la volontà popolare.

Ed infatti se Mas in nome del rispetto della legalità rinuncia al referendum, dall’altra propone di sciogliere il parlamento regionale e di andare subito a elezioni anticipate in Catalogna. Magari con una lista unica tra tutti i partiti che sostengono l’indipendenza, che conquisterebbe una maggioranza schiacciante nell’assemblea e potrebbe così dare di nuovo impulso ad un processo che avvii la regione verso l’indipendenza. Queste elezioni, ha promesso Mas, avrebbero lo stesso effetto di un referendum. E soprattutto – questo non lo ha detto ma lo sanno in molti – Convergencia i Uniò potrebbe presentarsi davanti all’elettorato come capofila del processo sovranista cercando di salvare i suoi consensi elettorali attualmente in caduta libera a causa del risentimento di larghi settori popolari nei confronti delle misure drastiche di austerity e le politiche liberiste implementate dal suo governo regionale.

La mossa di Mas, come era prevedibile, non è piaciuta a nessuno dei suoi partner all’interno del fronte indipendentista. Oriol Junqueras, leader di ERC – Sinistra Repubblicana – il partito che secondo i sondaggi diventerebbe il maggiore nel nuovo parlamento se si votasse ora, ha criticato la rinuncia del Govern all’organizzazione della ‘consulta’ prevista il 9 novembre ed ha accusato il presidente della Generalitat di aver rotto il fronte delle forze sovraniste. Da parte sua Erc afferma anche che se non ci sarà un referendum vero l’unica strada è quella delle elezioni anticipate che eleggano un parlamento che a sua volta proclami unilateralmente l’indipendenza della Catalogna.

La sinistra radicale della CUP, invece, prova a rigirare contro Mas la sua proposta di un ‘referendum popolare autogestito’ ma non ufficiale e che quindi non violi la legge. Quim Arrufat, deputato al parlamento regionale della Candidatura d’Unitat Popular, ha proposto che a supervisionare il voto del 9 novembre sia una commissione di controllo formata con tutti i crismi e supportata da una squadra di osservatori internazionali e che le istituzioni locali facciano ogni sforzo per convincere quanti più catalani a esprimere la propria opinione.

Sul tappeto rimane la volontà, espressa dalla stessa Cup, da settori seppur minoritari di Erc e di altri partiti di sinistra, ma soprattutto da parte dell’Assemblea Nazionale Catalana, di ‘disobbedire’ alla legge che impedisce che la popolazione catalana possa esprimersi democraticamente sul tema dell’autodeterminazione. 

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