Era dal dicembre del 1986, quando lo studente Malik Oussékine (22 anni) fu ucciso dalla polizia a Parigi mentre partecipava a una protesta contro una riforma universitaria che un manifestante non perdeva la vita in Francia, e la morte nel weekend del giovane Remi Fraisse durante una protesta contro una diga ha scosso il paese e messo sotto accusa le forze dell’ordine e il governo socialista.
Il giovane studente di Tolosa è morto nella notte tra sabato e domenica scorsi a Testet, nei pressi del cantiere della diga di Sivens, zona che i manifestanti hanno ribattezzato ‘Zad’, zone à défendre, cioè “Zona da difendere”. Rémi Fraisse era tra i manifestanti che si oppongono alla costruzione di un enorme lago artificiale che dovrebbe servire a irrigare le terre confinanti, ma che secondo i contestatori in realtà favorirebbe solo i proprietari terrieri e i grandi appezzamenti agricoli coltivati con metodi intensivi (e inquinanti).
Ora i lavori di costruzione della diga nel sud della Francia verranno rimessi in discussione ha fatto sapere il ministro dell’Ecologia di Parigi, la socialista Segolene Royal, che per la prossima settimana ha annunciato una riunione per discutere il fututo dell’infrastruttura idroelettrica criticata anche per i costi eccessivi, oltre che per il fatto che distruggerà una importante zona umida. Royal ha sottolineato come sia necessario “trovare una soluzione che giustifichi lo stanziamento dei fondi pubblici ed europei per opere di questo genere”, avvertendo però che “se qualcuno pensa di poter fermare con la violenza i lavori infrastrutturali del Pease, si sbaglia”.
Allo stato l’inchiesta sulla morte del 21enne studente di Botanica privilegia la tesi di un decesso avvenuto a causa di una granata assordante lanciata dalla polizia, dopo che sui vestiti del giovane manifestante sono state trovate tracce di esplosivo. A confermare alla stampa francese le indiscrezioni già emerse nelle prime ore è stato il procuratore di Albi, Claude Derens, che si sta occupando del caso, specificando che si tratta di un tipo di esplosivo militare, il Tnt, che è presente nella composizione delle granate lacrimogene e di quelle definite offensive utilizzate dalla polizia.
Uno dei leader della protesta, Ben Lafety, ha spiegato a Libération: “Non stiamo dicendo che le forze dell’ordine abbiano ucciso il manifestante. Ma domenica all’alba di sicuro sono state tirate delle granate per disperdere l’assembramento di persone. La reazione dei gendarmi è stato sproporzionata e senza rispetto per le regole di sicurezza”.
Al sito ‘Reporterre’, uno dei manifestanti ha invece raccontato: “Tra le due e le tre di notte abbiamo subito attacchi di granate lacrimogene ed esplosive. La scena era illuminata dai fari dei camion delle guardie mobili. A un certo punto, dopo un lancio massiccio di granate, un gruppo di guardie mobili è avanzato, ha preso una persona che era per terra e l’ha trasportata verso la strada”.
La famiglia del giovane ha deciso di sporgere denuncia per omicidio volontario, «commesso da uno o più pubblici ufficiali».
Nel paese si sono svolte in questi giorni numerose manifestazioni convocate da diverse organizzazioni ecologiste e di sinistra, mentre in parlamento alcuni partiti hanno chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve. Particolarmente duri i toni dei Verdi che hanno lasciato il governo socialista ad aprile in disaccordo sulla svolta a destra del Partito Socialista e che ora accusano l’esecutivo di essere guidato da una “logica produttivista” e di usare una forza eccessiva nei confronti dei movimenti che contestano i provvedimenti della squadra di Francois Hollande.
Che ora, cercando di correre ai ripari, ha ordinato alle forze dell’ordine di sospendere l’uso delle granate contro i manifestanti. “Armi non letali” le hanno definite, anche quando tre manifestanti avevano perso la vista a febbraio, fino a che non ci è scappato il morto.
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