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Iguala: Messico in rivolta contro la strage di stato

Sono passati 34 giorni dalla strage di Iguala, durante la quale agenti municipali e sicari hanno sparato a bruciapelo sugli autobus che trasportavano gli studenti della scuola Normale Rurale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, e non si hanno ancora notizie dei 43 normalisti detenuti dalla polizia locale e poi scomparsi nel nulla il 26 settembre scorso.

Il massacro di Iguala, che ha causato la morte di sei persone ed il ferimento di altre venti, ha messo allo scoperto l’orrore che si vive in Messico dall’inizio della cosiddetta guerra al narcotraffico a questa parte ed ha prodotto un’ondata di indignazione che si é diffusa in tutto il Paese, attraversato, da almeno tre settimane, da decine di iniziative ogni giorno. Iniziative che nascono spesso in maniera spontanea e, significativamente, non coinvolgono solo le grandi città ma anche i piccoli centri.

Le proteste, unite alle critiche e alle osservazioni provenienti da mass media e organismi internazionali, stanno mettendo in seria difficoltà il governo di Peña Nieto, il quale sta vivendo la peggiore crisi della sua amministrazione: una crisi umanitaria, di sicurezza e perfino di governabilità alla quale sta rispondendo con una serie d’iniziative che paiono più dirette a contenere i costi politici della strage che indirizzate a fare chiarezza sui fatti e a colpire tutti i responsabili del crimine di lesa umanità in questione.

Nata dal basso e senza il sostegno dei partiti, la protesta sorge inizialmente nelle scuole normali che in tutto il Paese solidarizzano con i loro compagni dello stato del Guerrero. In seguito, la mobilitazione si diffonde tra gli studenti medi e universitari, protagonisti di cinque riuscitissime giornate nazionali di blocco del sistema d’istruzione alla quale aderisce la stragrande maggioranza delle istituzioni accademiche pubbliche e private.

Durante le giornate di paro estudiantil, le piazze si riempiono di giovani e di studenti, cioè proprio di coloro a cui probabilmente era diretto il messaggio di terrore lanciato con l’assalto e la sparizione forzata dei 43 normalisti di Ayotzinapa. Diversi osservatori evocano il ’68 e descrivono il movimento che si sta costituendo in queste settimane come il più importante e partecipato degli ultimi decenni.

Con  il passare dei giorni iniziano a partecipare alle mobilitazioni anche altri settori della società. A questo punto la protesta coinvolge una parte significativa della popolazione e diventa pienamente nazionale, iniziando a preoccupare seriamente il governo. Per citare Bellingausen, editorialista del quotidiano La Jornada, pare proprio che alla scomparsa dei normalisti stia corrispondendo l’improvvisa apparizione di un moltitudinario ed eterogeneo movimento sociale di protesta determinato a dire basta al terrore prodotto dalla complicità tra stato e mafie, ed al patto di impunità che vige tra i partiti e nei riguardi dei potenti di ogni risma.

Sebbene il movimento abbia un carattere nazionale, ed un importante sostegno a livello globale, l’epicentro della protesta è sicuramente lo stato del Guerrero, dove le iniziative hanno raggiunto un alto livello di radicalità riuscendo a mettere in discussione la stessa governabilità della regione. Oltre ad aver duramente sanzionato i simboli del potere politico locale (il congresso statale, il municipio e il palazzo del governo a Chilpancingo, la sede del Partito Rivoluzionario Democratico e quella del comune ad Iguala) e ad aver occupato 21 amministrazioni dello stato, le iniziative, lanciate dalla Asamblea Nacional Popular, nata lo scorso 15 ottobre e formata da genitori e compagni dei desaparecidos, il sindacato CETEG (Coordinadora Estatal de Trabajadores de la Educación de Guerrero) più un centinaio di altre organizzazioni locali e nazionali, si occupano di rendere difficile la circolazione stradale nel territorio.

Quasi quotidianamente, infatti, l’autostrada del Sole, che collega Città del Messico all’importante località turistica di Acapulco, ed altre importanti vie di comunicazioni guerrerensi (la México-Acapulco, la Tierra Colorada-Cruz Grande e la Tlapa-Chilpancingo) vengono bloccate da normalisti e docenti. Oltre ai blocchi stradali vengono fermati anche banche, centri commerciali e sedi istituzionali. Gli studenti in lotta, inoltre, fanno spesso dei blitz pacifici in radio e televisioni, dove chiedono ed ottengono di poter parlare alla popolazione.

Data la situazione il governatore Aguirre è stato costretto alle dimissioni e il ministro dell’interno Chong ha deciso di inviare altri 10 mila uomini per “appoggiare il nuovo governatore”, l’interino José Antonio Ortega, ex-segretario dell’Universidad Autónoma de Guerrero, scelto al di fuori dell’ambito dei politici di professione per dare un segnale di rinnovamento.

Oltre allo stato del Guerrero, le mobilitazioni si stanno verificando in tutto il territorio nazionale. Dallo stato di Morelos a Michoacán, da quello di Veracruz allo Yucatán, è l’intero Paese a mobilitarsi. Per fare solo due esempi, in Chiapas, normalisti e docenti hanno occupato in varie occasioni centri commerciali in diverse località, mentre a Città del Messico il corteo del 22 ottobre ha nettamente superato, in termini di partecipazione ed indignazione, la moltitudinaria manifestazione dell’otto.

Anche nella capitale blocchi stradali, presidi e cortei sono all’ordine del giorno, tanto che è difficile tenerne il conto. Vanno segnalate, però, la manifestazione dei sindacati delle principali università metropolitane – che hanno sfilato per il centro della città domenica 27 ottobre – e l’occupazione temporanea di TV e RADIO-UNAM (mezzi di comunicazione della più importante università pubblica del Paese) da parte di studenti universitari che hanno poi aperto i microfoni ai normalisti.

La mobilitazione interna e la pressione internazionale, alla quale si aggiugono per quanto in maniera tardiva e alquanto ipocrita anche Stati Uniti ed Unione Europea infastidiscono Peña Nieto, che negli anni si era costruito l’immagine del gran modernizzatore proprio grazie al sostegno dei media nazionali e internazionali che adesso fanno gli indignati.Tristemente memorabili, da questo punto di vista, sono state la copertina del Time, che lo raffigurava come il salvatore del Messico, e le cronache di Repubblica ai tempi del tour messicano dell’ex premier Enrico Letta, che esaltavano le riforme strutturali minimizzando la strutturale violenza che già si stava ampiamente verificando nel Paese.

Per quanto riguarda le indagini, le fosse clandestine ritrovate intorno al municipio di Iguala sono sempre di più: 11 secondo la PGR (Procura della Repubblica) e oltre 20 secondo l’UPOEG (Unión de Pueblos y Organizaciones del estado de Guerrero). Mentre i corpi ritrovati sarebbero ormai 38, 28 dei quali, sempre secondo le autorità, non sarebbero però dei giovani scomparsi ma di altre vittime. Stando invece all’equipe argentina di antropologi forensi che rappresentano i familiari degli scomparsi, che hanno denunciato un iniziale sabotaggio della loro partecipazione da parte della PGR, ci vuole ancora tempo per avere i risultati delle prove del DNA.

1messico1In una conferenza stampa, tenutasi proprio durante le mobilitazioni del 22 ottobre proprio per togliere i riflettori alla protesta, il procuratore Murillo Karam ha descritto la linea investigativa portata avanti dalle autorità, la quale responsabilizza della strage il solo livello amministrativo locale, infiltrato dai narcos dei Guerreros Unidos, al soldo del quale lavoravano il sindaco Luis Abarca, sua moglie María de los Ángeles Pineda, e il capo della polizia locale Felipe Flores Vázquez, attualmente latitanti e considerati i mandanti del massacro. I tre sono accusati di associazione a delinquere, omicidio e sequestro di persona – e non di sparizione forzata, come invece dovrebbe essere considerando l’intervento delle forze di sicurezza dello stato. Secondo la ricostruzione degli investigatori, i normalisti sarebbero stati attaccati perché confusi con il gruppo criminale dei Los Rojos, nemico dei Guerreros Unidos. In base alle dichiarazioni rilasciate dagli ultimi detenuti, al sequestro avrebbero partecipato sia gli agenti municipali di Iguala che quelli del vicino comune di Cocula, che avrebbero poi consegnato i normalisti ai narcos.

Per il momento, sono state arrestate 54 persone, 22 poliziotti municipali di Iguala, 14 di Colula e appartenenti al cartello dei Guerreros Unidos. Secondo quanto sostenuto dalle autorità, alcuni dei detenuti avrebbero indicato i luoghi dove incontrare i normalisti scomparsi, i quali, sarebbero stati uccisi e bruciati nelle fosse comuni. Tra gli arrestati spicca il capo dei Guerreros Unidos, Sidronio Casarrubias Salgado, che ha dichiarato di non aver ordinato l’assalto ma di non essersi neppure opposto ad esso.

La versione delle autorità viene duramente contestata dal Comitato dei familiari di Azyotzinapa. Vidulfo Rosales Sierra, rappresentante legale dei parenti e membro del Centro de Derechos Humanos de la Montaña Tlachinolla ha infatti denunciato in una conferenza stampa l’intenzione del governo di colpevolizzare i normalisti legandoli ai narcos. D’altra parte, la linea investigativa viene letta come il tentativo scaricare le responsabilitá della strage al solo livello locale, riducendo cosí il costo politico del massacro in vista delle elezioni municipali e statali del 2015.

Secondo il comitato dei genitori, al contrario, i responsabili, per complicità diretta o omissione, di quella che viene ormai definita una strage di stato sono i tre livelli di governo. Erano infatti note le connivenze del sindaco e di sua moglie con i Guerreros Unidos, come dimostrato dai documenti prodotti dal CISEN (servizi segreti) nei giorni successivi alla strage. Inoltre, Abarca era già stato accusato di 3 omicidi e, nonostante fosse stato accusato da un sopravvissuto, il congresso statale, i partiti e la PGR hanno preferito non procedere nelle indagini.

Per quanto riguarda il governatore Aguirre, ritenuto vicino ai Beltran Leyva, il suo atteggiamento repressivo e la sua scarsa volontà di castigare gli abusi polizieschi erano già noti a partire dal ‘98 quando, da governatore provvisorio dello stato, fu accusato di essere il mandante politico della strage del Charco, durante la quale la polizia sparò a bruciapelo su un gruppo di contadini uccidendone 11. I tre anni del suo ultimo mandato hanno confermato questa tendenza. Sono stati 13 infatti i dirigenti e gli attivisti di organizzazioni sociali uccisi da forze dell’ordine o delinquenti che in tutti i casi l’hanno fatta franca, mentre sono 9 i leader della Polizia Comunitaria detenuti ingiustamente e decine i desaparecidos. Nel frattempo, lo stato del Guerrero è diventato il principale produttore di eroina del Paese, nonché la rotta privilegiata dei traffici di droga e di persone. Tutto ciò, nel totale silenzio di istituzioni e partiti, che hanno preso posizione solo dopo l’esplosione dello scontento.

Per tornare al caso, ci sono vari elementi che sono noti ma che non verranno indagati dalla PGR e che fanno pensare ad una scarsa volontà di chiarire completamente i fatti da parte degli investigatori. Prima di tutto abbiamo il drammatico ritardo – oltre sei ore – con cui la polizia statale, informata della sparatoria, è giunta sul posto. Stesso discorso per il XXVII Battaglione di Fanteria dell’esercito, la cui caserma è situata solo a un paio di km di distanza dal luogo dei fatti, ma che “non si è accorto di nulla”. I soldati con cui hanno avuto a che fare alcuni normalisti sopravvissuti, invece, lungi dall’intervenire hanno impedito ai giovani di chiamare i soccorsi, minacciandoli e burlandosi della drammatica situazione che stavano vivendo. Sollevano sospetti anche l’attendismo della PGR di fronte a un caso che aveva tutte le caratteristiche per essere di pertinenza federale ed il fatto che il sindaco Abarco sia potuto scappare con tutta tranquillità diversi giorni dopo la strage. Tutte queste domande difficilmente troveranno una risposta, dato che la comoda linea investigativa scelta dal procuratore Murillo Karam si guarda bene dall’affrontare questi punti oscuri (o forse fin troppo chiari).

Rispetto alle ricerche dei normalisti scomparsi, per concludere, i genitori hanno denunciato il ritardo dell’azione governativa, l’indifferenza e lo scarso rispetto dimostrato ai familiari delle vittime, che non hanno ricevuto nessun tipo di sostegno dalle istituzioni, ed il mancato utilizzo delle tecnologie più moderne a disposizione come i geo-radar, i raggi infrarossi e altri strumenti tecnologici che permettano di individuare la concentrazione di calcio o di altre sostanze chimiche nel terreno. Per tutti questi motivi, venerdí scorso i familiari hanno rotto il dialogo con la PGR, chiedendo un incontro diretto con il presidente, il quale si è svolto oggi pomeriggio nella residenza ufficiale de Los Pinos, e si è concluso con un giudizio negativo da parte del comitato dei genitori, che ha definito insufficienti gli accordi raggiunti. Secondo il governo, invece, il risultato di questo primo dialogo (ma è possibile che si sia aspettato un mese per iniziare il dialogo?) è soddisfacente. 

La risposta – tutta mediatica e mirata a limitare i danni – di Peña Nieto alla crisi umanitaria e politica in atto nel Paese pare non sia bastata a frenare l’indignazione e le mobilitazioni scatenate da un crimine di stato che ha messo di fronte agli occhi dell’intero pianeta la drammatica situazione che predomina in diverse zone del Messico, dove, secondo il quotidiano El Universal, dal 2006 al 2013 sono state ritrovate ben 1243 fosse comuni, mentre sono oltre 100 mila i morti e più di 25 mila i desaparecidos prodotti da guerra e narco-paramilitarismo. Insomma, la strage di Iguala non è affatto un caso locale e isolato, ma è rappresentativo di ciò si vive nel Paese, e le mobilitazioni di questi giorni, che poterebbero segnare un cambio di fase e che culmineranno con la terza giornata globale per Ayotzinapa il prossimo 5 novembre, vanno interpretate all’interno di questo contesto.

* Da Città del Messico

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