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Tunisia: confermata la vittoria dei liberal-nazionalisti

Confermata dalla Commissione elettorale di Tunisi (Isie) la vittoria di Nidaa Tounès alle legislative dello scorso 26 ottobre. In base ai risultati preliminari completi diffusi ieri sera, il partito liberale, nazionalista e laico ha ottenuto 85 seggi sui 217 da assegnare in parlamento, mentre il partito islamista Ennahda (legato alla Fratellanza Musulmana) sarà rappresentato da 69 deputati. Al terzo posto, con 16 seggi, l’Unione patriottica libera (Upl), una formazione guidata dall’imprenditore Slim Riahi, l’uomo più ricco della Tunisia. Figlio di un giudice che per la sua opposizione prima a Bourguiba e poi a Ben Ali fu costretto ad espatriare in Libia, ha fatto fortuna proprio in quel Paese nel settore immobiliare e petrolifero, ed è spesso accusato di aver collaborato con il regime di Muammar Gheddafi; guida un partito che si definisce ‘post-ideologico’ ma di fatto è una formazione politica liberale e liberista. 
Il Fronte popolare, coalizione di sinistra ed estrema sinistra, si è invece aggiudicato 15 seggi (risultato nettamente migliore rispetto all’Assemblea Costituente), seguito da Afek Tounès con 8 seggi. Diversi partiti e liste di candidati indipendenti si spartiranno altre 24 poltrone. L’Isie ha precisato che nella circoscrizione elettorale di Kasserine un seggio è stato ritirato a Nidaa Tounès e assegnato al partito Ettakatol a causa di “infrazioni elettorali commesse il giorno del voto”, tra cui violenza e propaganda.

In quanto vincitore delle legislative, come previsto dalla nuova Costituzione in vigore da pochi mesi, tocca a Nidaa Tounès proporre il nome del nuovo primo ministro e costituire una squadra di governo. Il partito laico nato nel 2012, dopo la rivoluzione dei Gelsomini che nel 2011 ha portato alla destituzione del dittatore Zine el Abidine Ben Ali, è di fatto un contenitore che sotto le sue bandiere riunisce personalità di centrosinistra ma anche di centrodestra, compresi alcuni sostenitori o dirigenti del vecchio regime.

A Tunisi sono già cominciate serrate trattative per la formazione di una coalizione di governo. “Con questi numeri Nidaa Tounès non ha nemmeno bisogno di Ennahda per avere la maggioranza in parlamento e dar vita all’esecutivo. Potrebbe rivolgersi a piccoli partiti ideologicamente più vicini. In questo caso Ennhada sarà all’opposizione per i prossimi quattro anni” ha sottolineato Nazanine Moshiri, inviato di al Jazeera nel paese del Nord Africa. Per alcuni analisti politici tunisini e stranieri, l’esito delle urne è la conseguenza della “sconfitta sul piano sociale” di Ennahda, ma anche del fatto che “si è compromesso con gruppi violenti”. Nei mesi scorsi proteste popolari anche violente hanno preso di mira dirigenti e leader istituzionali del partito islamista al potere, accusato di connivenze o esplicite complicità con gruppi armati islamisti, alcuni di ispirazione jihadista, responsabili di attacchi a sedi di sinistra e dirigenti sindacali, alcuni dei quali sfociati in pestaggi o addirittura omicidi di esponenti dell’opposizione laica o anticapitalista. In parte l’elettorato, soprattutto nel nord del paese, ha deciso di punire Ennahda per l’incapacità di risolvere la tremenda crisi economica e sociale che sconvolge il paese.

Il voto ha evidenziato una forte divisione geografica della Tunisia con Ennahda che riceve maggiori consensi nelle regioni meridionali e i liberal-nazionalisti di Nidaa Tounès in testa soprattutto nel nord.

Ora occorrerà attendere le elezioni presidenziali del prossimo 23 novembre alle quali Ennahda sembra presentarsi in forte ritardo, non avendo ancora presentato alcun candidato e con l’intenzione, probabilmente, di sostenere una personalità indipendente il cui nome però non è stato ancora reso noto. In tutto saranno 27 i candidati in lizza, tra i quali spiccano i nomi del capo di stato uscente Moncef Marzouki, l’ex primo ministro nonché leader di Nidaa Tounès Beji Caid Essebsi e il presidente dell’Assemblea nazionale costituente  Mustapha Ben Jaafar. Nella corsa alla più alta carica dello Stato una sola donna, il magistrato Kalthoum Kannou, e alcuni ex ministri dell’era Ben Ali, tra cui Kamel Morjane e Mondher Zenaidi.

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