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L’Ucraina è più nera. Poroshenko, azzoppato, cerca alleati a destra

E’ un Poroshenko azzoppato quello uscito dalle elezioni politiche di domenica scorsa in Ucraina. Il ‘re del cioccolato’, in virtù della sua elezioni a presidente nel maggio scorso e di una fama di moderato alquanto immeritata, pensava di sbaragliare alleati e avversari accreditandosi come gestore del dopo Maidan. Ma non è andata così. Intanto ha perso la sfida della legittimazione del nuovo regime, visto che alle urne sono andati poco più della metà degli aventi diritto, segno che la tanto decantata ‘rivoluzione’ non c’è stata e che anzi una fetta importante della popolazione, anche delle regioni più ‘maidaniste’, non si identifica affatto con la nuova ideologia nazionalista e liberale. 

Ma soprattutto Poroshenko, con il suo Blocco, non è riuscito ad ottenere la maggioranza dei seggi alla Rada Suprema, e dovrà quindi scendere a patti con forze politiche alla sua destra e poco inclini al compromesso che il presidente ha in qualche modo cercato negli ultimi mesi con la Russia di Putin. Il presidente ha dovuto subire anche lo smacco di vedere la coalizione che porta il suo nome (Blok Petra Poroshenka) arrivare solo seconda, anche se per lo 0,3%, dopo il Fronte popolare (Narodniy Front) del primo ministro Arseniy Yatsenyuk. E comunque i due movimenti, insieme, non raggiungono il 45% dei voti.
C’è la fatta solo per un soffio l’ex zarina Yulia Timochenko, col suo movimento Batkivshchyna – ‘Patria’ – da cui si è opportunamente tirato fuori Yatseniuk e che ha superato di pochissimo la soglia del 5% (5,7%) necessaria per entrare in parlamento. Poco meglio è andata per ciò che resta dell’ex Partito delle Regioni, partito uscito vincitore alle scorse elezioni; stavolta il Blocco delle opposizioni (Opozytsinyy Blok) ha superato di poco l’asticella arrivando all’8,25%. Voti concentrati al 90% nelle regioni orientali dell’Ucraina dove il movimento guidato da alcuni dei più ricchi oligarchi del paese si è affermato come primo partito a Dnipropetrovsk, Donetsk, Luhansk, Zaporizhia e Kharkiv.
I nazionalsocialisti di Svoboda invece non ce l’hanno fatta, arrivando solo al 4,7% dei voti (percentuale riferita alla quota proporzionale, altri seggi sono assegnati su base uninominale); una sconfitta pesante rispetto alle scorse elezioni e soprattutto considerando il ruolo di primo piano che l’estrema destra aveva ricoperto prima nella spallata di piazza e poi nella Giunta, dove ‘Libertà’ poteva contare su ben 4 ministri.
Il partito ultranazionalista che si richiama all’esperienza storica di Stepan Bandera – leader delle milizie nazionaliste ucraine che collaborarono con gli occupanti tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale – ora grida ai brogli, e i suoi militanti si sono scagliati contro la Commissione Elettorale Centrale di Kiev, in queste ore assediata al grido di ‘riconteggio, riconteggio’. “I nostri ex alleati di Maidan ci hanno tradito!”, ha tuonato il leader del partito, Oleg Tiaghnibok, che alle scorse elezioni aveva ottenuto il 10,44%.
E’ andata anche peggio per i nazisti di Praviy Sektor (Settore Destro) che hanno raggranellato uno scarso 1,8%, comunque non male per un movimento nato da gruppuscoli inconsistenti e in un paese in cui il panorama politico è praticamente tutto di destra. E comunque saranno ben due i deputati di Settore Destro a sedere nella Verkhovna Rada. Il leader del movimento Dmytro Yarosh e un altro rappresentante, Borys Beresa, sono stati eletti come deputati nella quota uninominale. Yarosh si è presentato nella sua natia Dnipropetrivsk dove 20 mila persone, il 29% degli elettori, l’hanno votato, mentre Beresa è stato eletto in una circoscrizione maggioritaria a Kiev con il 30% dei voti, circa 27 mila elettori. Sembra quasi che il nuovo regime preferisca i tagliagole di Yarosh ai nazisti in doppio petto di Tiaghnibok, visto che proprio ai miliziani di Settore Destro è stato affidato il compito di gestire il servizio d’ordine nei seggi di alcune importanti città, come la ribelle Kharkov. D’altronde nei seggi delle regioni orientali i pochi elettori che hanno votato lo hanno fatto sotto la minaccia dei mitra degli squadristi che alla vigilia delle elezioni a Lisiciansk hanno fucilato tre adolescenti arrestati qualche giorno prima. Campagna elettorale all’Ucraina…
Da notare che tra i votanti ucraini all’estero l’estrema destra apertamente neonazista è andata assai meglio che in patria: nella circoscrizione estera – Italia compresa – Praviy Sektor è arrivato al quarto posto e Svoboda al quinto, totalizzando insieme addirittura il 15% dei voti.
Fuori dal parlamento sono naturalmente rimasti i comunisti che sono di fatto stati espulsi con la violenza dalla legalità e non hanno più alcuna agibilità politica nel paese. Il PCU di Petro Simonenko si è fermato al 3,86%, contro il 13,18% ottenuto nel 2012.
A sopresa s’è invece affermato con l’11% dei consensi il movimento Samopomich (‘Auto aiuto’) fondato da pochi mesi e guidato da Andriy Sadovy, il sindaco di Leopoli (zona dove l’affluenza ha sfiorato il 70%), e fortemente nazionalista e antirusso.
Ottimo risultato anche per il Partito Radicale di Oleg Lyashko, ultranazionalista e di destra, che dall’1,8 del 2012 è salito al 7,5%.

Alla fine dalle urne è uscito un parlamento assai frammentato, litigioso, pieno di oligarchi o di loro rappresentanti diretti, con una stragrande maggioranza formalmente filo-europea e filo-Nato e tutta schierata su posizioni ultrnazionaliste e di destra, senza alcuna presenza di forze di sinistra o di centro-sinistra. L’unico movimento contrario all’integrazione nell’Ue e nell’Alleanza Atlantica è il Blocco delle Opposizioni, legato a doppio filo con Mosca.
Se vorranno governare, il Blocco Poroshenko (che comprende Udar di Vitali Klitschko) e il Fronte Popolare di Yatsenyuk dovranno allearsi, e cercare il sostegno di qualche altra realtà, probabilmente Samopomich e forse addirittura il Partito Radicale di Lyashko. Insomma nel nuovo governo dovranno convivere coloro che rappresentano gli interessi di Bruxelles e coloro che invece prendono ordini da Washington. Una convivenza e una gestione affatto facili, se si considera che nella nuova Rada non più arancione ma bruna siederanno un centinaio tra dirigenti e volontari dei battaglioni punitivi, esponenti delle forze armate e criminali comuni al soldo dei vari oligarchi, sparpagliati in diversi partiti.

Spenti i riflettori sui seggi, ora l’attenzione di tutti è di nuovo puntata sul fronte, dove nelle ultime ore si è assistito a una nuova recrudescienza dei combattimenti e dei bombardamenti. Secondo Kiev nelle ultime 48 ore sono stati ben 9 i soldati che hanno perso la vita, e anche tra i miliziani delle Repubbliche Popolari e tra i civili che abitano le città assediate di Donetsk e Lugansk – che si apprestano a votare domenica per eleggere il loro parlamento ‘separatista’ – si contano vittime. Almeno sei i morti provocati dai bombardamenti indiscriminati dell’artiglieria dell’esercito e della Guardia Nazionale.
A preoccupare soprattutto il fatto che Kiev abbia ritirato, alla chetichella, la firma apposta a settembre a Minsk all’accordo sulla linea di sepa­ra­zione tra le parti in con­flitto, lascian­dosi così aperto il ter­reno per un’offensiva che in molti, nel Don­bass, giu­di­cano ormai questione di ore, o forse di giorni. Negli ultimi giorni le milizie hanno rafforzato le proprie posizioni e in alcuni casi condotto vittoriose imboscate contro alcuni reparti delle forze di Kiev rimasti isolati, impossessandosi di mezzi militari e armi pesanti che si rivelano assai preziosi nella difesa delle Repubbliche Popolari. Frequenti anche i casi in cui i soldati ucraini hanno ceduto le loro armi al ‘nemico’ in cambio di cibo e medicinali, mentre da Mosca partiva l’ennesimo convoglio di aiuti umanitari destinati alle martoriate popolazioni di Donetsk e Lugansk.

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