Decenni di prodotti di Hollywood e di serial televisivi ci hanno abituato a considerare l’Fbi il volto buono dei servizi di sicurezza degli Stati Uniti, il contraltare degli uomini neri della Cia o delle varie agenzie di spionaggio al servizio del governo di Washington o di settori oscuri e paralleli anche alle stesse istituzioni ufficiali di quel paese. Ma al di fuori degli studios californiani, nella realtà vera e non virtuale, non sembra affatto che sia così.
«C’è solo una cosa che puoi fare. Tu sai quale. Non c’è che una via d’uscita per te. È meglio farla finita prima che tutto il male venga fuori. Hai solo 34 giorni di tempo per farlo».
Così recitava una lettera anonima, scritta a macchina, che arrivò sulla scrivania dell’attivista per i diritti civili afroamericano Martin Luther King, accusato dall’establishment statunitense di simpatie comuniste. Un ricatto e una minaccia senza mezzi termini nei confronti del leader del movimento contro la segregazione razziale che proprio quell’anno fu premiato con il Nobel per la Pace (era ancora il periodo in cui non veniva concesso a cani e porci…). Una lettera anonima, un invito al suicidio corredato da dettagli “imbarazzanti” sulla vita sessuale di Martin Luther King in procinto di essere diffusi al pubblico se non si fosse ritirato dalla scena, scritta non da qualche razzista solitario ma dagli agenti del Federal Bureau of Investigation.
Alcuni analisti e studiosi avevano già azzardato che quella missiva, passata alla storia come “la lettera del suicidio”, fosse opera della polizia federale statunitense all’epoca guidata dal famigerato John Edgar Hoover, che in quel modo tentava di togliere di mezzo un personaggio scomodo impegnato nella battaglia per i diritti della minoranza afroamericana completamente esclusa dalla vita civile e politica. Poi nel nel 1976 il Church Committee del Senato si incaricò di confermare i sospetti.
Pochi giorni fa il New York Times ha pubblicato l’intero contenuto, non censurato, della lettera, dopo che una professoressa dell’Università di Yale – Beverly Gage – ne ha ritrovato una copia originale. “Sono rimasta sorpresa di trovare una versione non censurata della lettera nascosta in una serie dei suoi atti ufficiali e riservati ai National Archives” ha raccontato la storica.
Secondo il quotidiano la minacciosa missiva sarebbe stata scritta addirittura dal vice di Hoover, William Sullivan, e fu inviata insieme a una registrazione audio che provava le scappatelle del reverendo.
“Ascoltati schifoso animale. Sei stato registrato, tutti i tuoi atti di adulterio”, si legge nel testo che poi continua: “Tu sei un imbroglione colossale e un demonio” e ancora “Sei un ciarlatano”.
Nel 1963 King tenne il suo più famoso discorso “I Have a Dream” a Washington durante la conclusione della gigantesca marcia per i diritti. Una mobilitazione che portò alla firma del Civil Rights Act proprio nel 1964, che mise fuori legge almeno in teoria le discriminazioni razziali. L’anno successivo arrivò anche il Voting Right Act che garantiva il diritto al voto ai cittadini afroamericani.
Siccome le minacce dell’Fbi non funzionarono e King non rinunciò alla sua lotta, fu assassinato a Memphis il 4 aprile del 1968.
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