Non sono mancate in questi ultimi anni, e particolarmente in questi ultimi mesi, le prove, i documenti e le testimonianze che dimostrano un legame fortissimo tra l’amministrazione turca e le forze armate di Ankara e le milizie jihadiste dello Stato Islamico. Un legame duraturo che sta resistendo anche ad un parziale voltafaccia da parte delle potenze occidentali e di alcune petromonarchie arabe che, se inizialmente hanno sostenuto la nascita dell’Isis o ne hanno addirittura favorito l’espansione, dalla scorsa estate hanno ufficialmente disconosciuto quelli che fino a quel momento erano considerati e descritti come ‘combattenti per la libertà’ e comunque tollerati perché utili nella strategia globale di destabilizzazione del governo siriano e di quello iracheno (troppo legato a Teheran) e del radicamento di Hezbollah in Libano. La Turchia non ha mai fatto mistero di considerare i miliziani jihadisti un male minore rispetto al governo di Bashar al Assad e anche rispetto ai curdi siriani, e l’asse Davutoglu-Erdogan ha più volte risposto picche alla richiesta statunitense di permettere alle forze armate turche di penetrare in territorio siriano per istituire una fascia di sicurezza e una no-fly zone. Un via libera che però Washington non ha potuto e voluto concedere, almeno finora, perché parzialmente in conflitto con la propria strategia nella regione.
Un no che Ankara non ha proprio mandato giù se pochi giorni fa lo è stato lo stesso presidente Recep Tayyip Erdogan a rinfacciare agli Stati Uniti di non aver accettato le condizioni poste da Ankara per partecipare alla coalizione internazionale contro l’Isis, a partire dall’assicurazione che ogni intervento in territorio siriano mira alla rimozione di Assad dal potere.
La comunità internazionale “non ha ancora compiuto i passi che abbiamo raccomandato”, ha tuonato Erdogan, riferendosi implicitamente alla richiesta turca di attaccare anche il regime di Bashar al-Assad e di creare zone di sicurezza e di interdizione al volo (no-fly) in territorio siriano. “Ci sono solo alcuni segnali e possibilità. La posizione della Turchia rimarrà tale a meno che non verranno attuate” le proprie richieste, ha aggiunto il presidente.
E, nel frattempo, il regime turco continua a sostenere le milizie jihadiste in vario modo: impedendo agli attivisti e ai combattenti curdi di passare la frontiera con la Siria per andare a difendere Kobane dagli assalti dell’Isis; permettendo ad Al Baghdadi di addestrare i propri uomini in campi realizzati nel sud della Turchia, territorio nei cui ospedali si curano i miliziani feriti; permettendo che gli islamisti passino la frontiera con la Siria altrimenti impenetrabile, con al seguito convogli pieni di armi e apparati logistici. Video postati in rete alcune settimane fa, d’altronde, hanno mostrato a tutto il mondo le scene di fraternizzazione tra alcuni militari turchi e alcuni guerriglieri dello Stato Islamico mentre il ritrovamento di alcuni passaporti e piastrine militari turche in un covo dell’Isis conquistato dalle milizie curde ha fatto sorgere il “sospetto” che nelle milizie sunnite che operano in Siria e Iraq ci sia la presenza di militari e agenti dei servizi turchi.
E, nei giorni scorsi, è stato il racconto di quello che alcuni media hanno presentato come un ex membro dell’Isis a gettare una luce ancora più chiara sulle sinergie in atto tra regime turco e bande islamiste.
“Sherko Omer”, pseudonimo di un ex tecnico delle comunicazione che lavorava per lo Stato Islamico, ha raccontato alla rivista statunitense Newsweek che lo scorso febbraio avrebbe viaggiato, come parte di un’unità dell’ISIS, in un convoglio di camion dalla loro roccaforte a Raqqa (Siria) fino alla Turchia, per poi tornare indietro dopo essersi riforniti per attaccare i curdi nella città di Serekaniye nella Siria settentrionale. “Il comandante dell’IS ci ha detto di non temere nulla perché c’era piena collaborazione con i turchi, e ci ha rassicurati che non sarebbe successo nulla, soprattutto perché questo è il modo in cui viaggiano regolarmente da Raqqa e Aleppo verso le aree curde più in là nel nordest della Siria, perché era impossibile viaggiare attraverso la Siria perché le YPG [Unità di autodifesa del Kurdistan siriano] controllavano la maggior parte della regione curda” ha detto Omer in merito al doppio passaggio tramite la frontiera tra Siria e Turchia. “Mentre cercavamo di passare il posto di confine di Ceylanpinar, la luce di sorveglianza dei soldati turchi ci ha individuati. Il comandante ci ha detto di stare calmi, restare in posizione e di non guardare la luce. Ha parlato di nuovo alla radio in turco e noi siamo rimasti nelle nostre posizioni. La luce di sorveglianza si è poi spostata circa 10 minuti più tardi e il comandante ci ha ordinato di muoverci perché (…) era il segnale che potevamo attraversare il confine verso la Siria senza correre rischi.”
Una volta a Serekaniye, Omer dice di essersi arreso alle forze curde quando hanno attaccato il suo campo. Dopo alcuni mesi di prigionia sarebbe stato rilasciato.
“ISIS e la Turchia collaborano sul campo sulla base del fatto che hanno un nemico comune da distruggere, i curdi” ha aggiunto Omer intervistato dal Newsweek che però afferma di non avere gli strumenti per controllare la fondatezza delle rivelazioni dell’ex membro delle bande jihadiste. Omer, che sarebbe un curdo iraqeno, sarebbe inizialmente andato in Siria per unirsi alle milizie dell’Esercito Siriano Libero contro il governo Assad, ma poi la sua unità si sarebbe unita allo Stato Islamico finendo col lavorare per l’ufficio comunicazione dell’organizzazione a Raqqa.
Da tempo i curdi siriani denunciano l’attivo sostegno del regime turco ai jihadisti che attaccano le città del Rojava. “Abbiamo prove più che sufficienti che l’esercito turco da ai terroristi di ISIS armi, munizioni e gli permette di attraversare i valichi di confine ufficiali turchi per consentire ai terroristi di ISIS di avviare attacchi disumani contro il popolo curdo nel Rojava” ha detto qualche tempo fa Polat Can, uno dei portavoce delle Ypg.
Intanto, secondo numerose fonti, lo scorso 2 novembre l’organizzazione di Al Baghdadi avrebbe stretto un vero e proprio accordo di alleanza con il Fronte Al Nusra, sezione di Al Qaeda in Siria. Alla riunione vicino ad Aleppo, inoltre, avrebbe partecipato anche un comandante dell’Esercito Siriano Libero, un coordinamento di forze per lo più islamiste radicali e in certi casi liberali e nazionaliste che secondo Ue, Stati Uniti, Turchia e petromonarchie dovrebbe costituire “l’alternativa all’Isis” nella gestione della Siria dopo la destituzione violenta del governo attuale di Damasco. Il comandante dell’Esl, Abu Musafer, avrebbe assistito all’incontro e alla stipula dell’accordo tra Isis e al-Nusra che prevede l’unione delle forze contro i combattenti curdi a nord del paese e ogni forza anti-islamista e la fine delle faide interne per il controllo delle aree sotto il governo di Damasco. L’Isis avrebbe anche offerto ad al-Nusra un gruppo di circa 100 miliziani per rafforzare l’offensiva lanciata dai qaedisti nella città siriana di Khan al-Sunbul.
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