Proprio in contemporanea con un disgelo con Cuba per ora ancora precario e tutto da verificare, l’amministrazione Obama decide un’accelerazione delle politiche di isolamento nei confronti del Venezuela, segno che l’inquilino della Casa Bianca non ha affatto rinunciato al tradizionale ruolo aggressivo degli Stati Uniti nei confronti dell’ex cortile di casa.
Venerdì Obama ha firmato senza indugio le sanzioni contro Caracas decise prima dal Senato e poi dalla Camera dei Rappresentanti, rendendo così operative le misure adottate contro “i funzionari venezuelani responsabili di violazioni dei diritti umani” che prevedono il congelamento dei loro beni eventualmente detenuti negli Stati Uniti o in paesi dove arrivi la longa manus di Washington e la negazione dei visti.
Una recrudescenza dei rapporti, da sempre assai tesi, tra Stati Uniti e governo bolivariano da tempo chiesta a gran voce dalla destra venezuelana, in particolare da quella più estrema protagonista della lunga ‘rivolta’ costellata di attentati e provocazioni e che nei mesi scorsi ha causato la morte di decine di persone tra manifestanti, funzionari governativi, membri dei partiti di sinistra ed esponenti delle forze di sicurezza prima che Maria Corina Machado fosse destituita dalla sua carica di parlamentare e il suo sodale Leopoldo Lopez venisse arrestato, entrambi con l’accusa di preparare un golpe violento in accordo con l’amministrazione statunitense.
Siccome la rivolta violenta non ha funzionato, la destra venezuelana ha pensato bene di chiedere sanzioni internazionali contro il governo di Caracas, richiesta prontamente ‘accettata’ da Washington. “Non siamo rimasti in silenzio, né lo saremo, contro le azioni del governo venezuelano che violano i diritti umani, le libertà fondamentali e le norme democratiche” ha rivendicato il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest. Il promotore del cosiddetto “Disegno di legge per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della società civile del Venezuela” e Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato, il democratico Robert Menendez, ha tra l’altro invitato la comunità internazionale a seguire l’esempio degli Stati Uniti.
Tra gli esponenti politici oggetto delle sanzioni ci sarebbero per ora l’ex ministro degli Interni, Miguel Rodriguez Torres e la Procuratrice generale Luisa Ortega Diaz, oltre ad alcuni governatori degli stati in cui più acuti sono stati gli scontri e poi il presidente dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello. Inoltre nel mirino di Washington potrebbe finire la Cigto, la società di raffinazione venezuelana con sede negli Usa, dipendente dall’impresa petrolifera di stato Pdvsa, formalmente a causa della collaborazione che intrattiene con analoghe imprese iraniane.
Lunedì scorso decine di migliaia di sostenitori del governo bolivariano hanno marciato per le strade di Caracas per protestare contro le sanzioni indossando camicie rosse. Il presidente Nicolas Maduro, rivolgendosi ai suoi sostenitori al termine della manifestazione, ha accusato Washington di interferire negli affari interni del suo paese definendo gli Stati Uniti come “arroganti Yankees imperialisti” e aggiungendo che il Venezuela e altri paesi dovrebbero istituire “un comitato di esperti legali per indagare su tutte le violazioni dei diritti umani e sui crimini contro l’umanità effettuati dagli Stati Uniti, che hanno bombardato la Libia, l’Iraq e la Siria”.
«La destra nordamericana si lancia contro il Venezuela perché sa che i suoi rappresentanti qui sono un disastro, i soldi che arrivano, se li rubano, non son capaci di eseguire gli ordini, per questo gli Stati uniti hanno deciso di agire direttamente» aveva accusato qualche giorno fa Cabello dando la notizia del sequestro di un camion che viaggiava su una nave proveniente dagli Usa contenente 4 milioni di dollari e dell’arresto di un certo Arquimede Rondon, un tizio di origine portoghese e legato all’Usaid, nota agenzia governativa di Washington utilizzata per operazioni di destabilizzazione e spionaggio in vari quadranti del globo.
Dure accuse nei confronti dell’arroganza statunitense anche da parte dei paesi dell’Alba, in particolare dal leader boliviano Evo Morales secondo il quale «l’abbassamento del petrolio è provocato dagli Usa per colpire Venezuela e Russia, Obama sbaglia, farebbe meglio ad abolire la pena di morte».
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