Quella che era stata proclamata giornata di lutto per le vittime del tram centrato giovedì scorso dagli obici ucraini nel centro di Donetsk, e diventate nel frattempo 15, si è aperta con un’altra strage di civili.
Questa volta a Mariupol, unica grande città della Regione di Donetsk rimasta finora in mano alle truppe di Kiev, alcuni colpi di artiglieria hanno ucciso 30 persone, tra cui 2 bambini (questo il numero al momento in cui scriviamo, ma alcuni dei feriti sono molto gravi) e ferite quasi cento. Kiev accusa le milizie che, proprio ieri, hanno iniziato e completato l’accerchiamento della cittadina di Krasnyj Partizan (tra Donetsk e Gòrlovka) e, in serata, avevano già cominciato a penetrare alla periferia di Mariupol. Il Presidente della Repubblica di Donetsk, Aleksandr Zakharcenko, ha dichiarato che l’offensiva contro Mariupol è la risposta alle azioni terroristiche dell’esercito ucraino contro le città di Donetsk e Gòrlovka. Le milizie, mentre parlano dell’offensiva anche contro un altro punto strategico, nella direzione opposta del fronte, Debaltsevo, negano di disporre di artiglierie di grosso calibro nel settore e, conseguentemente, di aver aperto il fuoco su quartieri civili di Mariupol e dicono trattarsi dell’ennesima “provocazione delle truppe ucraine”. La Tass cita testimoni secondo cui i colpi provenivano dall’area della fabbrica “Ilic”, in cui sono dislocate le truppe ucraine.
In relazione alla strage di Mariupol, il premier ucraino Jatsenjuk ha chiesto la convocazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Il capo della diplomazia (?) della Ue Federica Mogherini ha chiesto a Mosca di esercitare la propria influenza sulle milizie perché arrestino l’offensiva e di cessare qualunque forma di aiuto a loro. Non stupisce che da parte europea si definiscano “azioni aggressive” le controffensive militari delle milizie; ci è sfuggita, nei giorni scorsi, una qualche simile dichiarazione relativa all’offensiva generale lanciata da Kiev ormai da due settimane contro la Novorossija. Ci è sfuggita anche una qualunque forma di appello al Presidente Poroshenko perché l’Ucraina cessi i bombardamenti sui quartieri civili delle città del Donbass, addossandone immancabilmente la colpa alle milizie.
A questo proposito, nei giorni scorsi è comparsa in rete una interessante osservazione fatta da un blogger ucraino, a proposito della strage di Volnovakha del 13 gennaio scorso, allorché una mina fu fatta brillare in prossimità di una fermata al momento del passaggio di un autobus provocando la morte di 12 persone e il ferimento di 20. Anche in quell’occasione, Kiev aveva incolpato le artiglierie dei ribelli, i quali replicarono dimostrando che la distanza delle loro armi non avrebbe materialmente consentito di colpire un obiettivo così lontano. Ebbene, ora “Vikond65” pubblica i frammenti di due mappe messe a punto dai cartografi militari ucraini: una dell’11 gennaio, l’altra del 14 gennaio, cioè il giorno successivo alla strage di Volnovakha. Nella seconda, la linea del fronte è disegnata in modo tale da essere significativamente spostata verso ovest, così da dare l’idea della vicinanza delle artiglierie miliziane alla città di Volnovakha; ciò, nonostante nessuna delle due parti in conflitto abbia parlato di una qualche offensiva di successo dei “separatisti” verso ovest.
Intanto, il vice Ministro della Difesa della Repubblica di Donetsk, Eduard Basurin, ha dichiarato che l’arretramento delle forze ucraine da Donetsk riveste sempre più carattere caotico, dovuto alla mancanza di coordinamento tra i comandi. Questo ha provocato significative perdite tra i governativi, sia in uomini che in mezzi.
Il rappresentante permanente della Repubblica di Donetsk ai colloqui di Minsk, Denis Puschilin, ha accusato Kiev di sabotare coscientemente le trattative: “La parte ucraina ha fatto di tutto perché il processo delle trattative sul conflitto nel Donbass si interrompesse. Come possiamo accordarci con uomini che non rispondono delle proprie parole e delle proprie firme e dimostrano molto chiaramente la propria incapacità ad accordarsi”. Puschilin ha anche motivato l’offensiva di oggi delle milizie, che non poteva non essere iniziata “dopo che sulle nostre città si è abbattuta una pioggia di fuoco di mine, razzi e obici. Dovevamo allontanare le artiglierie pesanti e i “Grad” ucraini a una distanza tale da cui non possano fisicamente bombardare i nostri centri abitati”.
Il Gruppo di contatto “a tre” (l’ex presidente ucraino Leonid Kuchma, l’ambasciatore russo a Kiev Mikhail Zurabov e il rappresentante speciale Osce Hejdi Tagliavini) mentre ha chiesto l’immediato cessate il fuoco nel sudest dell’Ucraina, ha sollecitato un incontro urgente con i rappresentanti delle Repubbliche di Donetsk e di Lugansk per giungere, al più tardi all’inizio della prossima settimana, a un incontro di tutte le parti che hanno firmato i documenti di Minsk.
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