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Daesh, il trionfo della morte

La spettacolarizzazione dell’orrore che l’Isis profonde con dovizia di particolari, che registra tramite tecniche d’immagine apprese dalla più sofisticata filmografia, che divulga con meticolosa attenzione promozionale ci fa chiedere a chi giova la conseguente sciagurata violenza. Giova di sicuro al programma di proselitismo che stabilisce termini ben definiti: il suo jihadismo chiede di percorrere una via che non rifiuta ogni tipo di nefandezza, disprezzo della vita e dell’individuo, che nega agli altri qualsiasi significato e valore ideologico, confessionale, culturale annullandone spirito e corpo. Come se non fosse mai esistito. Il fuoco quale strumento di morte porta con sé il sadico desiderio dell’estremo dolore da infliggere alla vittima e l’ossessione purificatoria che guida il carnefice quale assassino seriale, da quello sacralizzato delle Inquisizioni secolari allo scellerato omicida presente nella realtà quotidiana. Straziare può servire ad asservire, bloccando ogni reazione di chi osserva e teme di finire egli stesso straziato. Rappresenta il classico effetto di panico assoluto con cui nei secoli ogni satrapia ha soggiogato l’umanità. L’Isis poi sembra compattare i suoi combattenti, fedeli, praticanti, cittadini sulla giustezza della punizione da dare al nemico sia esso il giornalista intruso, il pilota bombardatore, l’infedele yazida.

Da un panorama che s’incrudisce un giorno dopo l’altro i colpiti – che poi è il resto del mondo (imperial-capitalista, democratico progressista, socialista alternativo, utopista) secolare o confessionale, insomma che siamo tutti noi – sentono il sacrosanto dovere di difendersi. S’usano le categorie di lotta alla barbarie e scontro fra civiltà, iniziano a diffondersi i paralleli storici coi disegni del malvagio negli accadimenti lontani e più recenti. E’ la necessaria levata di scudi per preservare un’esistenza minacciata. La guerra giusta, che per secoli fu santa. I vicinissimi programmi contro l’Asse del Male che individuavano il maligno in popoli, nazioni, leader hanno creato alibi per operazioni manipolatorie portatrici di sciagure collettive (l’Eduring Freedom e l’Iraqi Freedom). La barbarie del Daesh può giovare e far comodo ai signori della guerra della Nato, proprio come certi warlord locali hanno avuto un ruolo di ‘destabilizzazione stabilizzata’ sul territorio afghano. Cronaca e storia attuali mostrano come mujaheddin e qaedisti siano creature svezzate dagli stregoni della geopolitica imperialista e possono scegliere integrazioni coi tutori-alleati oppure scontro aperto. Che non è mai definitivo, nonostante i molti lutti creati. Nell’attuale ricomposizione di Mashreq e Maghreb, non sono solo gli Imperi (economici e militari) a dettare nuove regole, compaiono altri attori (i fautori del Califfato) e tanti doppiogiochisti (petromonarchie e lobby destabilizzanti). Il problema sarà come tutelarsi da costoro.  

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