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La sinistra russa che sostiene il Donbass

Cinquantottomila morti nel Donbass (23mila dalla parte ucraina e 35mila combattenti e cvivili delle Repubbliche popolari), dieci volte tanto il numero ufficiale degli ultimi rapporti ONU. E’ questo il punto più forte e più tragico uscito dalla tavola rotonda organizzata dalla rivista russa Alternativy, moderatore il direttore, Aleksandr Buzgalin – professore all’Università di Mosca; a suo tempo membro della Piattaforma marxista all’interno del PCUS e, nel 1990, uno dei più giovani membri del CC – e trasmesso da KrasnyjTV.

La presenza, tra le forze di sinistra russe, di due visioni contrapposte sulla realtà del Donbass, è all’origine dell’incontro svoltosi lo scorso 8 gennaio nella sede del Indipendent Press Center a Mosca. Tra i presenti Pavel Gubarev, a suo tempo “Governatore del popolo” della regione di Donetsk, all’inizio della crisi ucraina aveva diretto la “Milizia popolare del Donbass”; avrebbe fatto parte (ma lui lo nega) della “Unione nazionale russa”, il movimento nazionalista erede dell’omonima organizzazione fascista di Aleksandr Barkashov. Insieme a Gubarev, il cattedratico ucraino Aleksej Samojlov e il suo giovane collega Anton Gurjanov, presidente del Soviet della Repubblica popolare di Kharkov (città sotto controllo di Kiev): ambedue arrestati nel giugno 2014, liberati a fine dicembre e riparati in Russia.
E’ risaputo che una parte della sinistra russa guarda agli avvenimenti ucraini come a una “rivoluzione democratico-borghese” e, per ciò stesso, progressista, contrapponendoli a un potere russo che, “mentre persegue gli interessi dell’oligarchia finanziaria, aggredisce l’Ucraina”: fatti da cui discende la constatazione che “quanto accade nel Donbass sarebbe opera della provocazione russa per accaparrarsi quel territorio”. A questa visione se ne contrappone un’altra che, se non nega l’interferenza degli interessi monopolistici russi nella crisi, appoggia pienamente la nuova formazione sociale cui si sta dando vita nel Donbass e si schiera con i suoi combattenti.

Presentando i relatori, Buzgalin ha rilevato l’importanza, accanto alle vittorie al fronte, anche del percorso di sviluppo della nuova formazione politico-sociale del sudest ucraino: <c’è l’eroismo dei combattenti> ha detto Buzgalin, <ma ci sono anche i problemi: c’è l’oligarchia capitalista locale, c’è un potere provvisorio che avanza parole d’ordine per lo più nazionalistiche. Da parte nostra, crediamo che la strada da seguire sia la creazione di forme primarie di potere popolare e il rifiuto del nazionalismo più ottuso. Perché in Ucraina non ci sono solo i fascisti che si rifanno a Bandera, ma c’è una profonda e antica cultura che rispettiamo e amiamo. Nel Donbass si sono incrociate contraddizioni non solo ucraine> ha detto Buzgalin, con riferimento a Nato e Russia, <ma noi intendiamo aiutare il popolo del Donbass a scegliere autonomamente la propria strada>.

Ripercorrendo gli avvenimenti che hanno avuto inizio con Euromajdan, Gubarev ha parlato di due campi: quello dei seguaci di Bandera <estraneo al nostro sentire, distruttore di ogni segno dell’epoca sovietica e dei legami con la Russia, fomentatore dell’odio sociale ed etnico, e quello antioligarchico>. Quest’ultimo, si muoveva contro <quel simulacro di potere che era il Partito delle Regioni di Janukovic, disintegratosi in meno di un giorno. Era chiaro che quel partito non avrebbe retto alla crisi: era il partito degli interessi d’affari, del ladrocinio, della corruzione; non rappresentava un potere statale. Quando i sostenitori dell’ex presidente saltarono il fosso, il popolo rimase solo a esprimere i propri sentimenti di giustizia sociale, contro le ruberie degli oligarchi che si erano appropriati di quanto costruito da generazioni di lavoratori> ha detto Gubarev. Il magnate del Donbass Rinat Akhmetov, che Kiev aveva accusato di schierarsi dalla parte delle milizie, ma che già nel maggio scorso aveva parlato dell’illegalità delle Repubbliche popolari, <se prima si sentiva lo zar della regione, poi non si capacitava della possibilità che, da un giorno all’altro, avrebbe potuto perdere tutto. Ma noi sappiamo> dice Gubarev, che <pian piano l’oligarchia del Donbass sta tornando a piazzare propri uomini nei posti di potere, partendo dai livelli più bassi. Stanno armando le proprie formazioni e noi sappiamo come si stiano muovendo>. Anche per questo, l’ex Governatore del popolo giudica un errore la divisione del Donbass in due formazioni separate, la Repubblica di Donetsk e quella di Lugansk: <è un territorio abitato oggi da meno di due milioni di persone, dopo che circa altrettante si sono rifugiate altrove. Ci sarebbe bisogno di un unico Soviet, di un unico governo>. Insomma, Gubarev fa intendere che l’oligarchia starebbe scavando sotto i piedi delle Repubbliche.

Ma quello dell’unità territoriale, economica e politica non sembra essere l’unico problema. <Con il prestigio che viene dal campo di battaglia, dal rispetto dei combattenti, molti comandanti delle milizie dettano regole proprie nelle rispettive piccole enclavi e anche nella produzione> continua Gubarev. Tanto che nell’assassinio, lo scorso 1 gennaio, del comandante delle milizie Aleksandr Bednov “Batman” non sarebbero estranei interessi di affari. <Il principio della sostituibilità degli alti ufficiali, non funziona coi comandanti locali. Ma stiamo lavorando per la centralizzazione dei comandi: abbiamo bisogno di un vero esercito>. A proposito dell’industria, sembra che le sole imprese a essere state nazionalizzate del Donbass siano le vecchie industrie di stato ucraine; nelle imprese private, allorché il proprietario se ne sia andato, si insedia un’amministrazione popolare, ma non vengono nazionalizzate. <All’inizio si verificavano casi per cui le imprese venivano tassate a ogni posto di blocco: il comandante del plotone sequestrava i carichi e li rivendeva al minuto. Ora questo non accade quasi più>.

Ma è chiaro che, all’inizio, agivano anche nel Donbass <le quattro forze che si erano stratificate da tempo su tutto il territorio ucraino> interviene Samojlov: <gli oligarchi, in lotta tra sé per la spartizione delle proprietà; le bande criminali, anch’esse con proprie formazioni armate, ma sostanzialmente in guerra tra sé; gli “ucrainisti” filonazisti, una componente che, nel Donbass, è allo stato latente; il popolo insorto, ma ancora non ben definito in quanto realtà compatta>.

Ma, anche se non ben definito, sottolinea Gurjanov <basta guardare negli occhi i miliziani di guardia ai posti di blocco: non combattono per i soldi: sono pronti a morire per difendere la loro terra. Questo è il popolo nuovo, quel quarto elemento descritto da Samojlov, che sta nascendo e che si sta creando da solo il proprio futuro. Esso ha un’ideologia non ancora formata, un insieme di idee confuse ma nutrite di “fuoco vitale”. Ai vecchi meeting il pubblico non reagiva alle forme politiche “morte”; ora, la nuova ideologia nasce dal quotidiano e vi si mescolano “comunismo della religione ortodossa”, “autocoscienza nazionale russa”, socialismo. Certo, ci sono coloro che siedono su due o tre sedie e ricevono l’appoggio degli oligarchi, ma è in corso un processo vivo. La situazione è in movimento ed è imprevedibile>.

Se i tre convegnisti hanno idee affini su fascismo e nazionalismo – nessuno di loro sembra vedere nel fascismo il contenuto di classe di aperta reazione borghese, ma lo identifica con <il potere di un gruppo di persone che si impossessa degli organi dello Stato, basandosi più o meno sull’ideologia nazista> e sottolineano la netta distinzione  tra nazionalismo e sciovinismo – concordano anche sul ruolo che tenta di giocare l’oligarchia finanziaria russa nel Donbass. <Con l’indebolimento generale dell’oligarchia ucraina, lo stesso Akhmetov è divento un semplice magnate finanziario, senza influenza politica, al momento. I magnati russi lo sanno bene e cercano di prenderne il posto. Ma questo non è ancora direttamente all’ordine del giorno. Comunque, noi siamo sull’avviso>.

E nel concreto, la guerra fondamentale, al fronte, è conclusa? <No> rispondono concordi. <La contraddizione principale, con le sue specificità ideologiche e nazionali, non è esaurita. Noi rispettiamo il popolo ucraino, ma siamo nemici del governo ucraino. Il Donbass vuole far parte di un unico spazio politico-economico euroasiatico. Se in Galizia si sentono più legati all’Europa, noi ci sentiamo legati alla Russia. Questa è la contraddizione principale e continua a sussistere. Non vediamo presupposti per il dialogo politico. L’opinione pubblica locale è lontana dalle dichiarazioni ufficiali sui tentativi di accordo fatti a Minsk>. E poi, oltre il carattere etnico e culturale e le contraddizioni socio-economiche, <non ci scordiamo che il conflitto è esploso subito alla fine dell’Urss> dice Samojlov; <non è una lotta per l’indipendenza da Mosca che dura da mille anni, come dicono i nazionalisti ucraini: quei mille anni durano in realtà solo da 23 anni, da quando Stati Uniti e Canada si insediarono a Kiev>. E quanto accade nel Donbass, sta prendendo forma anche in altre regioni ucraine: Kharkov, Odessa; col timore che tale destino attenda la stessa Russia.

L’ultima domanda posta da Buzgalin: <Quando si combatteva il fascismo nella Seconda guerra mondiale, l’idea comune dei combattenti era il socialismo e la costruzione dell’uomo sovietico. Cosa unisce oggi i combattenti del Donbass?>. La lotta <per una nuova identità nazionale. E non vediamo contraddizione tra la lotta per l’identità russa e quella per la proprietà comune e la giustizia sociale. Non a caso tre parole d’ordine distinguono il Donbass: Novorossija, potere del popolo, giustizia sociale>.

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