L’immagine del sovrano in tenuta da combattimento campeggia da giorni incessantemente sui media giordani, e per ora Amman sembra dar seguito alle minacce proferite immediatamente dopo il brutale omicidio del suo pilota da parte dei miliziani dello Stato Islamico.
Ai primi bombardamenti su Mosul ne sono seguiti molti altri, e almeno stando alle dichiarazioni ufficiali dei comandi militari giordani – tutte da verificare – le perdite inflitte al nemico sarebbero ingenti. «Con i tre giorni di raid di rappresaglia che hanno colpito 56 obiettivi abbiamo distrutto il 20 per cento delle capacità militari dell’Isis» ha annunciato ieri l’esercito di Amman in un comunicato. Dopo aver colpito i centri di coordinamento il primo giorno, poi armi e depositi, il terzo «abbiamo colpito i militanti, dove mangiavano e dormivano». La Giordania continuerà la sua offensiva contro l’Isis finché il gruppo «non sarà annientato», ha detto il comandante delle Forze aeree giordane Mansour Jbour, nel corso di una conferenza stampa realizzata in una base militare ad Amman. Dichiarazioni poco credibili, quelle di Amman, che in soli 4 giorni avrebbe compiuto più raid che l’intera coalizione in diverse settimane, ma comunque in molti avevano sospettato che molti dei bombardamenti compiuti finora fossero simbolici e di facciata. D’altronde fino ad ora i territori strappati dal Califfato da Washington e company erano stati risibili.
L’improvviso attivismo della Giordania sarebbe anche riuscito a smuovere gli Emirati Arabi Uniti che, dopo una iniziale partecipazione alla Coalizione lanciata da Obama contro l’Is, si era sfilata a dicembre. Secondo l’agenzia di stampa statale Wam gli Emirati Arabi Uniti hanno ordinato a uno squadrone di caccia F-16 di trasferirsi in Giordania, anche se per ora non è chiaro se e quando gli aerei militari di Abu Dhabi torneranno a realizzare i bombardamenti in Iraq e Siria.
Fatto sta che il protagonismo militare e politico della Giordania, paese largamente sunnita, non può che far piacere agli Stati Uniti, finora abbastanza isolati nell’area e condizionati dai distinguo o dall’aperta opposizione da parte di alcuni suoi storici alleati diventati eccessivamente pretenziosi e autonomi – in particolare, su sponde opposte, Turchia e Arabia Saudita – in nome di un maggiore ruolo regionale e dei legami neanche troppo celati di Ankara e delle petromonarchie con il Califfato.
Anche le milizie peshmerga, agli ordini del governo regionale curdo dell’Iraq del Nord, grazie all’assistenza militare occidentale hanno nelle ultime settimane recuperato terreno contro le milizie jihadiste. Nel resto del paese anche le unità militari sunnite fedeli al governo di Baghdad e per la prima volta incorporate nell’esercito ufficiale, e le milizie sciite coordinate insieme a Teheran sono passate alla controffensiva strappando al Califfato alcune porzioni di territorio. Anche meglio hanno fatto le Unità di difesa popolare dei curdi siriani che secondo varie fonti hanno liberato decine di villaggi al confine con la Turchia.
Una situazione che potrebbe convincere le autorità militari degli Stati Uniti a lanciare in primavera una offensiva di terra non solo utilizzando le forze già in campo in Iraq e Siria, ma anche truppe statunitensi che per ora si sono tenute alla larga dai combattimenti nonostante a Baghdad siano ormai a migliaia i soldati di Washington tornati nel paese dopo il ritiro di pochi anni fa. L’obiettivo dichiarato è quello di riprendersi Mosul, importante città irachena caduta ormai da tempo nelle mani dello Stato Islamico che ne ha fatto la propria capitale. L’offensiva di terra – da capire se solo in Iraq o anche in Siria, il che aprirebbe di fatto uno scontro frontale con Damasco e anche con i suoi alleati, Hezbollah e Teheran – potrebbe scattare in primavera, ad aprile, quando secondo le previsioni del Pentagono le milizie fondamentaliste saranno ulteriormente indebolite da altri due mesi di bombardamenti e attacchi su più lati. E’ stato l’inviato Usa John Allen che nel corso di un’intervista ad una tv giordana ha confermato l’intenzione del governo iracheno di procedere con “una campagna via terra per riprendersi il paese”, al quale potrebbero partecipare truppe statunitensi.
Intanto però, anche se indebolito sul fronte militare, l’Is continua a colpire in Siria e in Iraq attraverso attentati che fanno strage. Le ultime due esplosioni questa mattina a Baghdad, a causa delle quali 14 persone hanno perso la vita in due quartieri sciiti. Nel fine settimana altre 37 persone erano rimaste uccise in una serie di attacchi attribuiti agli uomini di Al Baghdadi.
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