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Yemen: ribelli sciiti sciolgono il parlamento e insediano un direttorio

Si ingarbuglia ulteriormente la situazione nello Yemen, spaccato da un conflitto a tre che vede da una parte le milizie sciite, dall’altra le forze dominanti sunnite e dall’altra ancora le milizie di Al Qaeda sostenute da alcune tribù del sud del paese. 

Nel corso del finesettimana gli Houthi di Ansar Allah, che da mesi controllano il centro-nord del paese e hanno occupato militarmente la capitale estromettendo governo e presidente, hanno annunciato lo scioglimento del Parlamento yemenita e l’installazione di un Consiglio presidenziale di cinque membri. In una dichiarazione diffusa dal palazzo presidenziale di Sanaa, di cui gli Houthi hanno preso il controllo con la forza il 20 gennaio, i ribelli sciiti hanno anche annunciato la creazione di un Consiglio nazionale di 551 membri che rimpiazzerà la vecchia assemblea legislativa. Il Consiglio presidenziale sarà incaricato di formare un governo che guidi lo Yemen per un periodo di transizione, stabilito dagli Houthis in due anni. La dichiarazione è stata letta nel corso di una cerimonia a cui erano presenti numerosi esponenti tribali e militari ma anche i ministri della Difesa e dell’Interno del vecchio governo – sostenuto da Stati Uniti e controllato dall’Arabia Saudita – che ha dovuto dare due settimane fa le dimissioni in blocco, insieme al presidente Abd Rabbo Mansour Hadi.

L’annuncio degli Houthis giunge come conseguenza del fallimento dei negoziati fra i principali partiti politici, – gli isla­mi­sti di al-Islah, il par­tito socia­li­sta e quello nas­se­ri­sta, tutti vicini al pre­si­dente uscente – ai quali la ribellione originaria del nord del paese aveva dato tempo fino a giovedì per trovare una soluzione negoziata alla crisi che vive il paese.

Gli Houthis, basati nella loro roccaforte di Saada, nel nord, sono arrivati a Sana’a nel settembre scorso, prendendo il controllo dei palazzi governativi con la forza per denunciare la corruzione del governo e la nuova Costituzione imposta da Riad che di fatto escludeva le popolazioni sciite dal potere politica e le relegava nelle regioni più povere del paese.

Secondo alcuni esponenti poli­tici che hanno par­te­ci­pato nei giorni scorsi ai col­lo­qui poi falliti, gli Hou­thi hanno insi­stito sulla formazione di un con­si­glio pre­si­den­ziale che comprendesse sia i rap­pre­sen­tanti del nord che del sud dello Yemen, secondo un modello con­fe­de­ra­tivo più equilibrato rispetto alla par­ti­zione del Paese in sei regioni come pro­po­sto dall’ex pre­si­dente Hadi. Ma quando era chiaro che non vi era possibilità di accordo tra le diverse parti – gli Houthi si sono rifiutati di ritirare le milizie dalla capitale e di convocare elezioni immediate – il mediatore dell’Onu Jamal Beno­mar ha abbandonato il negoziato ed è partito alla volta dell’Arabia Saudita.
Mentre la presenza di alcuni esponenti del vecchio regime alla cerimonia organizzata nel palazzo presidenziale di Sana’a dimostra che pezzi dell’establishment sunnita quantomeno tollerano la nuova situazione, nel sud aumentano le spinte indipendentiste. Nei giorni scorsi si sono verificati scontri armati tra Houthi e le milizie pro-governative dei Comitati Popolari, mentre 57 depu­tati eletti nelle regioni meridionali del paese hanno annunciato giorni fa il boicottag­gio delle nuove istituzioni. 

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