A quattro mesi dalle cruciali elezioni politiche previste a giugno nuovi scontri si sono verificati nelle scorse ore all’interno del Parlamento turco che si è ormai trasformato in un vero e proprio ring dove i deputati si affrontano anche fisicamente. Durante la notte tra giovedì e venerdì nuovi scontri si sono verificati all’interno dell’emiciclo di Ankara, per la seconda volta questa settimana, nel corso dell’aspro dibattito sulla contestatissima legge che prevede l’estensione di poteri della polizia. Nell’ultimo episodio alcuni parlamentari della maggioranza e dell’opposizione si sono presi a calci e a pugni e uno dei deputati è “caduto” per le scale.
Nei giorni scorsi ben cinque deputati, tutti appartenenti alle forze di opposizione, erano finiti in ospedale per le ferite riportate, dopo che due di loro erano stati addirittura presi a martellate da alcuni esponenti della maggioranza liberal-islamista.
Due volte, mercoledì mattina e giovedì in tarda serata il partito Akp di Erdogan che ha la maggioranza assoluta ha tentato di iniziare l’esame vero e proprio della nuova legge sulla sicurezza voluta dal governo e che le opposizioni di destra e di sinistra definiscono “da regime fascista”, sostenendo che trasformerà ancora di più il paese in “uno stato di polizia”.
Ma le opposizioni sono riuscite a bloccare i lavori presentando centinaia di mozioni. A quel punto i deputati della maggioranza non l’hanno presa bene e l’atmosfera si è fatta incandescente. Ma nonostante la crescente aggressività anche fisica dei rappresentanti del Partito Giustizia e Sviluppo la strategia delle opposizioni sembra aver pagato, almeno per ora, visto che l’esame della legge é stato rinviato già due volte. Il pacchetto legislativo voluto da Erdogan e dal suo entourage conferisce poteri speciali senza precedenti alle forze di polizia, che potranno arrestare sospetti, perquisire abitazioni e sedi, compiere intercettazioni senza dover chiedere il mandato di un giudice, e usare con assai meno vincoli che in passato le armi da fuoco contro i manifestanti, e al ministero degli interni. I governatori potranno intervenire nelle azioni giudiziarie, dichiarare lo stato d’emergenza e ordinare l’arresto di persone ritenute sospette senza grandi vincoli. Il premier Ahmet Davutoglu difende il testo affermando che consentirà di tutelare la sicurezza dei cittadini e di lottare meglio contro la criminalità ma per il capo del principale partito d’opposizione, il repubblicano Kemal Kilicdaroglu, il ‘sultano’ Erdogan vuole definitivamente mettere a tacere oppositori e dissidenti e istituire uno stato autoritario e islamico.
Per il presidente le elezioni politiche di giugno hanno un valore strategico. Erdogan punta a stravincerle per ottenere una maggioranza assoluta allargata rispetto a quella attuale che consenta al suo partito di cambiare la costituzione e di istituire un regime presidenziale in cui molti più poteri siano concentrati nelle mani del capo dello stato.
Intanto, in attesa dell’approvazione del nuovo giro di vite previsto dalla legge in discussione in Parlamento, lo ‘stato di polizia’ è già all’opera. In tutta la Turchia si moltiplicano in questi giorni incriminazioni e condanne contro oppositori e dissidenti accusati di aver ingiuriato e offeso il presidente. Un reato che al malcapitato di turno può costare anche quattro anni di carcere. Nella rete della repressione sono giù caduti e in alcuni casi condannati giornalisti, intellettuali, sindacalisti, dirigenti politici. L’altro ieri ad essere incriminato è stato un ragazzo di 15 anni per un tweet di critica del presidente.
Un altro giovane, uno studenti di 17 anni, é stato invece condannato a 8 mesi di carcere per un cartello con una ‘pagella’ negativa del presidente. Un ragazzo di 16 anni in dicembre era stato arrestato nella sua classe dalla polizia ad Antiochia, e sarà processato in marzo: aveva gridato slogan anti-Erdogan in una manifestazione.
Più scalpore ha sicuramente destato la decisione della procura di Istanbul di avviare indagini ufficiali nei confronti del direttore del quotidiano Zaman, Ekrem Dumanli, per presunte ‘offese’ al presidente Recep Tayyip Erdogan. Dumanli, il cui quotidiano è di proprietà di imprese vicine al predicatore/imprenditore Fethullah Gulen in rotta con Erdogan, era stato arrestato nella retata che ha portato all’arresto di diversi giornalisti di opposizione il 14 dicembre dello scorso anno. Secondo il portale d’informazione indipendente t24, gli avvocati del presidente hanno denunciato Dumanli per un articolo pubblicato dal giornale il 16 febbraio.
Come se non bastasse, la magistratura turca ha aperto un’inchiesta sulla base delle indiscrezioni pubblicate dalla stampa governativa di un presunto complotto per assassinare una delle figlie del presidente Recep Tayyip Erdogan. Indiscrezioni bollate però come “propaganda” dall’opposizione turca e propedeutiche ad un ulteriore retata contro gli oppositori al regime.
I quotidiani di area governativa Star, Aksam e Gunes hanno aperto le loro edizioni odierne con il titolo “un ordine per assassinare Sumeyye”, il nome di una delle due figlie del capo dello stato, ordine che sarebbe partito dall’ex padrino politico di Erdogan, l’imam Fethullah Gulen, diventato da alcuni anni suo strenuo competitore.
Gli articoli, anonimi e sprovvisti di fonti, fondano le loro accuse sulle comunicazioni sui social network tra la misteriosa “gola profonda” Fuat Avni, che ha spesso svelato in anticipo su Twitter le iniziative delle forze dell’ordine turche contro i “nemici” di Erdogan, e un deputato dell’opposizione.
L’ufficio del procuratore di Ankara ha annunciato l’apertura di un’inchiesta giudiziaria sulla serie di accuse della stampa e ha precisato che sarà affidata all’ufficio per “i crimini contro la costituzione”. Un avvocato dell’imam Gulen ha da parte sua categoricamente smentito le “calunnie immorali” alla base dell’inchiesta.
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