Ömer Güney, il finto kurdo scoperto turco e vicino agli ultranazionalisti del Mhp, resta l’unico indiziato nonché arrestato per la strage parigina delle tre attiviste vicine al Partito dei lavoratori del Kurdistan. Dopo lo “smascheramento” in questi giorni l’uomo è stato presentato dai media di Ankara come un soggetto solitario e irregolare, cercando così di accreditare una pista dalla scarsa credibilità, quella del gesto d’uno squilibrato. Mentre le ricerche svolte dai media kurdi ripercorrono i suoi trascorsi di immigrato in Germania e di lavoratore occupato per sei anni (2003-2009) in una fabbrica presso la località di Waakirchen. Quindi alcuni spostamenti per ragioni personali fra quei luoghi e la Francia dove aveva sposato una cugina da cui s’era presto separato, e un trasferimento a Parigi dall’agosto 2011. L’uomo, infiltrato o meno, potrebbe rivelarsi una semplice pedina di una trama che l’ha semplicemente utilizzato oppure l’indagato sacrificale che cela i reali killer. Sarebbe e sarà utile risalire alla filiera dei suoi contatti.
Forse a breve si scoprirà qualcosa in più visto che le indagini sono passate di mano escludendo il discusso giudice Molins, noto per la sua ostilità nei confronti della comunità kurda. Intanto è sotto i riflettori l’articolata l’azione di Erdoğan. Mentre tiene aperti i canali della trattativa con Öcalan, spianata anche dal rimpasto del proprio Esecutivo con la nomina di quattro nuovi ministri fra cui Muammer Güler, sostituto agli interni dell’ingombrante İdris Naim Şahin assolutamente contrario a ogni apertura sulla questione kurda, il premier lancia strani avvertimenti all’etnìa dislocata in Germania. Una comunità che conta fino a 800.000 residenti e, secondo quanto lui ha dichiarato in un’intervista televisiva, è esposta al rischio di attacchi mortali simili a quello di Parigi. Il primo ministro turco ha fatto intendere che se nel 2007 la sua richiesta di estradizione per alcuni esponenti di spicco del Pkk, promessa da Sarkozy e rivolta anche a Berlino, fosse stata accolta oggi la Canzis sarebbe viva, in prigione ma viva.
Un alto dirigente del partito tuttora combattente kurdo, Duran Kalkan, sottolinea che un’affermazione simile risuona come un’ammissione di colpa per gli omicidi avvenuti in terra di Francia e quale avvertimento per il domani. Una sorta di riedizione di quanto accadeva in Turchia nel ventennio scorso, quando la comunità kurda doveva ascoltare apertamente minacce di prescrizione, ricatto o morte. Il presidente delle Associazioni kurde in Francia Mehemet Ulker denuncia altresì un attacco generalizzato verso i singoli attivisti e le strutture che si perpetua da tempo in varie località.
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